Regista Becker che ha lasciato bei film…Grisbì del '53 per tutti, ma nulla rispetto a quanto avrebbe potuto fare ancora (è morto nel 1960 a 53 anni). Sensibilità fuori dal comune e ricercatore di talenti, attori non professionisti e magnifiche facce da cinema. Le Trou/Il buco è il suo ultimissimo lavoro, fatto per l'appunto con poco più che figuranti….ma, signori, che risultato! Opera senza nulla oltre l'indispensabile…si rinuncia anche alla musica sostituendola con i rumori e i silenzi del vivere in un carcere, il carcere della Santè che è il "teatro" del racconto. La direzione di Becker è di altissimo livello, nella prima parte ci descrive i vari personaggi con tanto perfetto alternarsi di primi piani e campi larghi e così ben riusciti da farci sentire seduti accanto ai suoi attori a goderci la loro storia. La trama: Cinque detenuti nella prigione della Santè stanno escogitando la fuga, un piano che li porti fuori da quelle mura. Per la precisione l'idea è di quattro di questi, che dividono la cella da più tempo..il quinto, Gaspard, deve unirsi a loro a seguito dei lavori nella sua cella abituale. Non è facile per i quattro fidarsi del nuovo arrivo, ma così faranno…e porteranno a termine il loro "lavoro", tra colpi di scena, rinunce e tradimenti. Il mutuo appoggio e la forzata solidarietà è la chiave migliore di lettura del film. Sono uomini uniti dal destino, con una loro idea particolare di rispetto ed educazione e spinti dalla voglia di non arrendersi alla loro condizione o forse anche e soprattutto a quella società. Ovviamente la prigione, la costrizione è metafora di vita..di coraggio e vigliaccherie quotidiane compagne di strada di tutti noi. E' un film al maschile (la sola donna è una giovanissima Spaak che compare per pochissimi minuti) di quel filone noir/carcerario che farà proseliti famosi, da L'uomo di alcatraz a Le ali della libertà, e spesso saranno capolavori. La particolarità del film di Becker è l'altissimo livello di tensione e soffocante claustrofobia che riescono a dare le maniacali e lunghissime inquadrature di oggetti e sguardi, i dialoghi scarni e decisi affidati con maestria e misura a bravissimi interpreti. I protagonisti hanno caratteri ben distinti e diversissimi tra loro, l'ingegnoso Roland che ha già portato a termine ben tre evasioni e tutti si fidano di lui e di quel che dice, il pacioso e scherzoso "monsignore" che conforta e incoraggia, l'arrogante Manu (F.Leroy) che ha modi spiccioli e determinati che protegge e vendica i suoi compagni di sventura e il neoacquisto Gaspar, mediocre a cui piacerebbe essere come i suoi "duri" colleghi…e che ci riserverà una sorpresa. Il regista ha preteso tanto realismo dai suoi attori da arrivare a chiedere loro un vero sforzo fisico nelle scene che prevedevano la demolizione di pezzi di muratura e pavimenti….per interminabili minuti scaveranno, si sporcheranno e suderanno come mai nessun metodo Stanislaskj potrebbe immaginare. Hanno uno scopo comune ma volontà singole…forse assassini e ladri, ma questo non è volutamente chiaro nel film, quasi a non invogliarci mai ad usare quello come inevitabile e solo pre-giudizio per connotare un detenuto…certo, sembra dirci Becker, sono ai margini della società ma non peggiori di certi "liberi".