mercoledì 27 marzo 2013

Terrore alla 13° ora - Dementia 13 (F. Ford Coppola,1963)


Quale genere avrebbe mai potuto scegliere un grande della cinematografia mondiale per il suo primo vero lungometraggio? Quale genere mostra e dimostra meglio le potenzialità di un giovane cineasta più del thriller o, magari, dell'horror?..nessuno. Francis Ford Coppola, sua maestà Coppola, appena 24enne, dirige uno stranissimo e certo non memorabile film, ma come non rimanerne incuriositi?! A produrre l'opera "dell'imberbe" Francis è una volpe del cinema USA, quel Roger Corman amato da critici e cinefili e abituale scopritore di talenti…che qui mette a segno un colpo magistrale. Coppola scrive il soggetto del film e ovviamente Corman suggerisce, corregge e plaude. Trovarono il modo di inserire un castello, come quei tanti presenti nei suoi film con Price, portarono quel mood gotico in questi fotogrammi "moderni" e riuscendo quasi completamente nel loro intento. Il difetto del film, che c'è ed è forse inevitabile per un opera prima di un grande, è l'eccesso nella volontà di mostrare la bravura, di dimostrare di aver studiato cinema e di avere "stoffa" per continuare quel mestiere…Coppola esagera e dimentica la coerenza stilistica, tralascia la fluidità della storia, ma è altrettanto impossibile non scorgere quelle che saranno firma e forma del suo stile. Il film risulta farcito di quel po' di claustrofobia e tensione che lo sostengono e gli donano una interessante atmosfera…ma in fondo lo costringono inevitabilmente nello steccato del più classico dei film horror/thriller, con tutti gli stilemi del caso. Nel complesso l'impalcatura del film è sorprendentemente simile ad un famoso film del '71 di Mario Bava (Reazione a catena). C'è l'elemento acqua, una casa e una anziana signora…una sequela di delitti e un killer che sospettiamo fin da subito essere uno dei personaggi che abitano quel luogo…per carità, solo una coincidenza, ma questo è…e questo riporto. Di valore la recitazione e di buon livello, considerando l'inesistente budget, la fotografia e le musiche. Meno di dieci anni dopo questo lavoro Coppola stupirà il mondo con Il Padrino, poco dopo arriverà Apocalypse Now e il mondo del cinema lo amerà per sempre. Personaggi ben sviluppati e molto suggestive le scene subacquee (poche ma memorabili)…Cattivo che predilige l'ascia come arma di sterminio (una delle prime volte sullo schermo, e cento altre dopo questa) e la giusta efferatezza nel concepire l'omicidio. La trovata del corpicino della bimba che l'assassino pone in bella mostra ogni volta per terrorizzare la sua prossima vittima e che ci lascia intuire che di li a poco porterà a termine l'ennesimo immancabile delitto, è una delle migliori "invenzioni" del film. Non si sfugge alla drammaticità della scena e certo non si può rimanerne indifferenti. Finale vorticoso e complesso, poco inferiore alle aspettative ma degno del film. Disponibile solo in lingua originale e con sottotitoli in italiano. La trama: In un castello irlandese, il cadavere di una bambina morta annegata molti anni prima torna in circolazione con frequenza allarmante; un assassino armato d'ascia, intanto, toglie di mezzo chiunque indaghi sul mistero. 

mercoledì 20 marzo 2013

Una lucertola con la pelle di donna (L.Fulci,1971)


Ancora un film di Fulci. Un thriller prodotto nei primi anni '70. Lontano dall'essere il suo miglior film, ma sicuramente pieno di interessanti singolarità. Come l'essere stato un film-appuntamento per alcuni di quei personaggi che diventeranno l'emblema del cinema italiano nel mondo…che stringeranno statuette dorate note a tutti con il nome di Oscar. Uno di questi è, udite udite, Carlo Rambaldi. Tre Oscar vinti per i suoi effetti speciali, per E.T., per Alien  e per il King Kong dell'77, e prima di questi successi alcune collaborazioni con Bava e un processo per, potremo dire così, eccessivo realismo in una famigerata scena nel film di cui oggi parliamo. Si trattò di una delle visioni più estreme che lo spettatore amante dei thriller, e magari anche di un certo horror sanguinolento, potesse sperare di vedere sugli schermi: 4 cani vivisezionati e cavie di uno strano esperimento, con il ventre aperto e i cuori ancora pulsanti. Tanto bastò per una denuncia di alcuni gruppi animalisti, convinti nel portare Rambaldi e Fulci davanti ad un giudice da quell'estremo (effettivamente) realismo della scena. Uno "stellato" anche per le musiche, quello scrigno di colonne sonore che è Ennio Morricone. Per la verità nel film non si punta sulla colonna sonora per accaparrarsi i favori del pubblico, tanto che quel poco del girato accompagnato dalle note del maestro si limita spesso a qualche "sciabolata" di violini a sottolineare un repentino cambio di scena, ma seppur poco è un poco d'autore e il tema principale (almeno quello) è degno di nota. Attori, o meglio, attrici, perché sono indiscutibilmente le figure femminili al centro della storia, sono Florinda Bolkan (che Fulci sceglierà ancora per il suo celebre Non si sevizia un paperino) e una biondissima Anita Strindberg. Il regista le spoglia entrambe, e senza limitarsi nel mostrare il corpo nudo delle due attrici. Pratica, questa, quasi inevitabile nei film "di genere" italiani dell'epoca…e anche perché la storia richiedeva effettivamente tanto esplicito richiamo alla sessualità delle due protagoniste. Poco da dire su Jean Sorel, più che recitare sembra dare voce al cartonato di se stesso. Il "mestiere" di Fulci lo riconosciamo e apprezziamo nelle scene dove più liberamente può dar sfogo alla sua fantasia. Perfette sono quelle che vedono la Bolkan in un vortice psichedelico che ci raffigura il suo sogno saffico e poi omicida, come perfetta e magari anche troppo di "maniera" quella dove, sempre la protagonista, viene attaccata da numerosi pipistrelli, che in gesti e inquadrature non può non riportarci alla mente Gli uccelli del baronetto Hitckock. Quindi, solida e giusta la regia di Fulci, ottima la direzione del cast e non banali le trovate per il finale del film, però…si, c'è un però: la sceneggiatura è spesse volte confusa e di difficile comprensione, lenta e per alcuni con il "palato raffinato" anche piatta. Sembra quasi mostrare il solito vizio di molti dei nostri bravi registi di genere, quelli più bravi…massimo impegno nel costruire la scena madre, quella memorabile e, contrariamente, una fretta quasi snob per il film nel suo complesso. Come a voler dire: osservate quanto sono bravo a girare la scena che reggerà tutto film, quanto farò parlare dell'opera anche solo con due geniali trovate e tanto mestiere. Questa recensione e le citazioni continue di giovani registi nelle loro opere prime, servono esattamente a dar ragione al "furbo" Fulci e ai suoi colleghi. Titolo senza la minima attinenza con il film. La trama: Borghese repressa e trascurata dal marito, Carol sogna di uccidere una vicina di casa disinibita; ma poi l'omicidio avviene veramente ed esattamente come sognato dalla donna. Intrighi, sesso e ricatti saranno svelati dall'ispettore Corvin…fino ad un finale a sorpresa e decisamente inaspettato.


giovedì 14 marzo 2013

Maniac (W.Lustig,1980)


Uno psicopatico serial-killer, mai così tanto inseguito dalla telecamera…fin dentro la sua piccolissima tana, colma di manichini femminili e feticci e trofei delle sue vittime. Un piccolo oggetto di culto, questo è Maniac, ancora impregnato di quelle psichedeliche nebbie anni '70 che rendevano ogni scena, riuscendovi più o meno bene, epica e allucinata. Angosciante e violento, sottrae ossigeno allo spettatore come un fuoco acceso in una stanza, anche al più smaliziato o allo stomaco più forte. Eccede nello splatter, non si nasconde dietro educate e rispettose dissolvenze…quanto si deve mostrare è mostrato e spesso oltrepassando la misura. Magnifica interpretazione di Joe Spinell, grande e  grosso e viscido, credibile come assassino e tanto calato nella parte da aver scritto personalmente quasi l'intera sceneggiatura, per sentirla assolutamente sua. Guarda spesso dentro l'obbiettivo, incute timore e disgusto…una di quelle figure iconiche che faranno la fortuna dei sanguinolenti film americani a cavallo tra gli anni '80 e '90. Ma quest'assassino è umano, non è uno zombi, una creatura aliena…è frutto di quella parte del cervello umano che si nutre di violenza. Un predatore dal respiro pesante, un respiro che è il ritmo stesso e il tema musicale della sua caccia tra i grattacieli newyorkesi, in una città vista come nemica, un territorio dove fare razzia di donne e della loro offensiva bellezza e felicità. Tutto è girato come visto dagli occhi del killer, come fosse tutto spiato, alla ricerca del momento per colpire, per fare evidente la debolezza del mondo…indifeso e colpevole. Difficile non pensare al Travis Bickle di Scorsese, alla sua giacca militare, al suo vagare solitario. Difficile non riconoscere quelle disturbanti sensazioni nell'attesa di quel che sta per accadere…tratti tipici dello slasher-movie, tratti tanto scontati quanto difficili da ottenere. L'horror in generale e lo slasher nello specifico è uno di quei generi dove nessuna maestranze può barare, devi avere da tutti esperienza e professionalità o il film risulterà solo e soltanto ridicolo. In un "drammaticone" strappalacrime può la storia aiutare una pessima regia, da sola reggere e giustificarne la visione, in uno slascher non ci si nasconde…nulla funzionerebbe senza un bravo artigiano per l'effetto speciale, per la musica, nulla, tutto finirebbe in una risata. Una di queste figure è Tom Savini, leggendario collaboratore di Romero, che cura questo film come la sua fama richiede. Si ritaglia una particina e si lascia ammazzare da Frank Zito (il serial-killer del film) in uno dei modi più sconvolgenti possibili…un fucile a pompa che scarica il suo distruttivo potenziale sulla testa del nostro, provocandone la completa disintegrazione…vedere per credere. La trama: Frank Zito è un assassino psicopatico che toglie lo scalpo alle donne che uccide. Ha riempito il suo appartamento di manichini che orna con i trofei delle sue uccisioni. Dopo innumerevoli omicidi subirà lui stesso una fine cruenta e inattesa.

sabato 9 marzo 2013

The Fly - L'esperimento del Dottor K (K.Neumann,1958)


Tratto da un celebre racconto di George Laungelaan, uno di quelli quasi stereotipati dove la scienziato supera i limiti possibili e sfida, da novello Ulisse, l'uomo, la sua natura e fallisce inevitabilmente. Il film è di una esattezza formale quasi impeccabile. L'equilibrio è il suo segno distintivo, perfetto è il ritmo e senza inutili aggiunte il girato di Neumann. Dialoghi che risentono di un linguaggio forbito e di maniera (almeno nel doppiaggio italiano) e questo, insieme ad una elegante location borghese, partecipa a tanta misuratissima armonia dell'insieme. Più facile quindi sottolinearne le particolarità, che, se pur poche, hanno lasciato un notevole segno nella storia dei film horror classici. La ricerca della tensione e il suo raggiungimento vengono demandati a tutta una serie di gesti e buone battute che culminano in pochi secondi di reale paura e riuscendo a portare chi guarda ad immedesimarsi con l'attore in scena, sia esso umano o insetto… Esempio di questo discorso è il telo nero che coprirà per buona parte del film la testa del nostro sfortunato scienziato,  potrebbe sembrare un impedimento al corretto svolgere del film e un puerile escamotage per attirare facile attenzione, ma  vedremo come si otterrà con l'aiuto di una sapiente sceneggiatura il risultato esattamente contrario, attesa della scena madre e tensione vera. Questo dimostra ancora una volta che nella finzione di un film l'importanza del "non visto" è tanto e magari di più del "mostrato". Nessun regista potrà mai girare l'invisibile, ma la mente umana può far questo e ben altro, creando con l'aiuto di quelle immagini in movimento una realtà parallela al film stesso…un luogo dove si condizionano a vicenda quelle storie viste su uno schermo con i propri ricordi ed esperienze, e questo fa di ogni film un personale evento. Buona la recitazione dei vari attori, abbiamo un Vincent Price d'ordinanza e (cosa difficile da credere per la sua natura di mattatore puro) non egemone protagonista, una brava Patricia Owens nel ruolo della protagonista femminile e un formalissimo ma convincente David Hedison. L'esperimento del Dottor K ebbe notevoli riconoscimenti, non ultimo l'inserimento tra i 100 miglior Sci-Fi della storia, che giustificarono l'enorme budget che impegnò la pellicola per essere portata a termine. Caso più unico che raro è l'esistenza e la buona riuscita di un remake di questo film girato da Cronenberg nel 1986, dove il regista canadese sguazza in acque conosciute trattando il film di mutamenti e innaturali innesti uomo-animale senza dimenticare, da par suo, di indagarne le inevitabili implicazioni psicologiche. La trama: In seguito a una tragica fatalità (una mosca è entrata nella capsula con un uomo), un esperimento sulla trasmissione dei corpi attraverso la loro disintegrazione e successiva materializzazione ha un drammatico risultato: si formano due ibridi mostruosi, una mosca con la testa d'uomo e un uomo con la testa d'insetto. Per l'infelice sperimentatore sarà la tragedia...