sabato 29 giugno 2013

Il Golem - Come venne al mondo (P.Wegener,1920)


Quel che rende un film horror tale e di successo è certamente la capacità di chi ne scrive il soggetto di interpretare e magari anticipare le paure e le fobie del periodo storico che sta vivendo. Esistono soggetti, come i vampiri, che hanno fortune alterne ma rimangono un classico dell'horror di ogni tempo, abbiamo gli zombie, innumerevoli,  nei primi anni '80 o lo splatter e lo slascher efferatissimo a cavallo tra gli anni '80 e i'90, sintomo di una svolta violenta della società di massa e di una fascinazione/repulsione del pubblico verso la cronaca nera e più sanguinolenta. Agli albori del cinema, solo 20 anni dopo il sensazionale esperimento dei Lumiere, la concezione di horror era invece cosa ancora affine ai racconti gotici nei romanzi di fine ottocento. Certamente la definizione di "horror" viene qui usata fuori dal suo utilizzo moderno, qui parleremo più di fantastico virato al gotico…l'horror per come lo conosciamo dovrà ancora aspettare qualche anno per venire alla luce. Leggende farcite di religione e cabalistica furono l'humus per tanti lungometraggi, e tanti perduti, e anche per quello oggetto di questo post. Molto spesso tra i fotogrammi di genere horror si vanno ad inserire pistolotti più o meno graditi sulla morale e sulle visioni liberticide del mondo…alcuni registi ne fecero un marchio di fabbrica. Wegener, regista e interprete dello stesso gigante d'argilla, usa il suo Golem per attaccare e quasi ridicolizzare un certo atteggiamento di cieca obbedienza e riverenza verso il capo in quella sua Germania d'inizio secolo…che porterà agli orrori, questa volta veri e non di celluloide, che ben conosciamo. Il film è doveroso collocarlo tra quei classici dell'espressionismo tedesco che insegnarono al mondo la bellezza del cinema. Muto ed evocativo come doveva essere e di fattura poco meno pregiata dei ben più famosi "Gabinetto del Dottor Caligari" o dell'immortale Metropolis…si cimenta in qualche primitivo "effetto" per colpire lo spettatore e rimane una pietra miliare soprattutto nella direzione delle comparse nelle scene di massa, vanto e paura di qualsiasi regista. La storia prende spunto da una leggenda ebraica che ha come protagonista un gigante di argilla, il Golem, che prende vita grazie alle formule magiche e sortilegi del rabbino Low. La creatura esegue i voleri del suo creatore e lo aiuta ad affrontare un crescente sentimento antisemita nella Praga del XVI secolo. Il mostro sarà distrutto, o reso definitivamente uomo dalla "morte" stessa, da un sentimento e dall'amore per una donna. Difficile non intravedere nelle movenze e nel penarsi del Golem quelle che poi saranno, sul grande schermo, le rappresentazioni del Frankenstein di Mary Shelley. Entrambi esprimono tutto lo scetticismo e la paura per una modernità che stava cambiando in fretta le abitudini della gente e che si sarebbe potuta rivelare molto più negativa del previsto. Il Golem come Frankestein sono "partoriti" da quel controverso quanto innato atteggiamento dell'uomo ad ergersi a dio creatore, dando per scontato che quanto creato rimanga sottomesso e "animale"…per poi subirne l'inevitabile ribellione e volontà di libertà. Recitazione datata e certo non priva dell'eccesso manierista che caratterizzava gli attori nell'epoca del muto, ma una scenografia ben riuscita, una città completamente ricostruita con prospettive e particolari esatti, e musiche perfettamente attinenti alle immagini che accompagnano, ne fanno un film che un cinefilo ha il dovere di conoscere ed apprezzare. Particolare famoso, parlando di scenografie, è la scala a forma di padiglione auricolare che il rabbino/mago scende per raggiungere l'interno della sua casa, una vera scultura degna di un museo d'arte moderna..assolutamente da vedere. Il film di Wegener del 1920 viene subito dopo altri due (si dice meno belli di questo) tentativi del regista, uno del '15 e l'altro del '17, di girare un lungometraggio con protagonista il Golem. I film hanno entrambi visto la luce, ma le poche copie sono ormai scomparse e sono uno dei tanti "graal" che i cercatori di pellicole e rarità ha nel libro dei suoi desiderata. La trama: Nella Praga del Cinquecento il rabbino Low plasma con l'argilla un automa potentissimo, il Golem e gli dà vita grazie a una formula magica. Il Golem aiuta la comunità ebraica a far revocare un editto antisemita, ma quando la figlia del rabbino, di cui il gigante è innamorato, lo respinge, la creatura si ribella…perderà la vita per un gesto innocente di una bambina che il mostro non saprà prevedere.

domenica 23 giugno 2013

Jack the Ripper - Erotico profondo (J.Franco,1976)


Variante, senza alcuna pretesa di riproporre fedelmente il riferimento storico, delle vicende di Jack lo squartatore. Il camaleontico e prolifico regista spagnolo torna, dopo il suo Dracula del '69, ad affrontare temi cari e classici nelle pellicole horror. Abituato a somme di denaro appena sufficienti a pagare il "cestino" del pranzo a comparse e attori, dovette trovare espedienti, solitamente costosissimi, a più basso costo per rendere i vicoli di Zurigo (dove gira questo film) la fumosa e umida Londra del XIXsec…campo giochi del famoso e mai catturato serial killer. L'erotismo solito di J.Franco è qui appena presente, nonostante il furbo titolo italiano ne faccia esplicitamente richiamo, tutto si limita a balli ammiccanti della solita Lina Romay (moglie del regista) e qualche nudo, più che casto per i canoni attuali. Il film è diretto con buona mano e discreta perizia nelle inquadrature, ma soffre, allora e ancor più oggi, di una lentezza che solo raramente potremmo confondere con la volontà di creare suspance. Tanto della personalità del film è dovuta alla scelta felice, ma era scommessa facile da vincere, dell'attore protagonista. Nel Dracula dello stesso Franco del '69 aveva recitato in una piccola ma indimenticabile parte (era il detenuto Renfild), qui ha tutta la possibilità e il giusto personaggio per darci prova della sua bravura. Parliamo di Klaus Kinski…maschera terrificante e innate doti da attore, che non disdegnava i B-movie, alternandoli a film d'autore con Herzog a dirigerlo. L'insistente indugiare di Franco nel rimarcare dettagli trascurabili, nel rendere quasi "bergmaniana" e ieratica la sua regia (questo almeno nella prima parte del film), ha un meraviglioso interprete in Kinski. Ha occhi e fisico adatti, pazzoide e logorato dentro come doveva essere l'assassino e, come per ogni eccelso attore, bisognoso di pochissime parole per donare credibilità al suo personaggio…questo perche è la fisicità la vera carta vincente per ben recitare, la voce è cosa a volte trascurabile. Non avendo certi e vincolanti riferimenti storici per dare una connotazione sicura al suo Jack, Franco elabora un suo particolarissimo assassino seriale. Un dottore che uccide prostitute per odio verso la madre, essa stessa una prostituta, e che di giorno cura gratis e amorevolmente i poveri della città. Un contrasto senza alcun dubbio suggestivo e ben riuscito, dove Franco tende ad ergersi a giudice di una società bigotta e sembra quasi voler trasformare lo psicopatico assassino in un nero super-eroe…un giustiziere, un guastatore nascosto nell'ombra. Fa dire ad uno degli attori, rivolgendosi al dottore-killer:..Come campa uno che fa solo del bene?..frase chiave e motto riuscito per definire il pessimismo franchiano e quel velato attacco alla società dei consumi che il regista spagnolo non dimenticava mai di mettere nelle sue pellicole….fossero anche quelle al limite della pornografia dei primi anni '70 in Germania. Oltre al bravo Kinski e ad una buona prova di Josephine Chaplin, ha pieno diritto di essere ricordata la parte affidata ad un attore poco conosciuto ma con evidenti doti..Hans Guagler, che cesella un "testimone cieco" di tanta pregevole fattura da essere diventato l'archetipo stesso del personaggio affidatogli. Personalmente lo ritengo uno dei migliori film di Franco, anzi il migliore…ben distante da quelli che più si conoscono e che servirono al solo botteghino. Finale che può piacere o destabilizzare, certo sbrigativo e forse non all'altezza del resto del film. La trama: Ai tempi della Londra vittoriana, Dennis Orloff conduce una doppia vita: rispettato medico di giorno, efferato assassino la notte. L'ispettore Selby di Scotland Yard non riesce a catturarlo ma verrà aiutato dalla sua promessa sposa Cynthia, che farà da esca per far arrestare il maniaco omicida.

domenica 16 giugno 2013

Il rosso segno della follia (M.Bava,1970)


Quando chiesero conto a Bava per la trama di questo film, apparsa banale a molti, lui rispose con un gelido e geniale: "…avete ragione, è la storia del solito pazzo". Mette insieme un cast appena sufficiente allo scopo, Femi Benussi ai minimi storici, Steve Forsyth che crede d'essere Diabolik e una buona prova di Laura Betti (buona, ma solo per le mediocrità che la circonda) moglie dello stesso Bava, la quale si diverte a fare l'acida consorte del belloccio da fotoromanzo…pieno di fascino e ancor di più di segreti inconfessabili. Con questa compagnia e con un soggetto scritto a quattro mani con Santiago Moncada, il nostro amato regista raggiunge Frascati e la solita Villa Parisi, location seicentesca ben nota e utilizzata in decine di film italiani, da quelli con Franchi e Ingrassia a Oci Ciornie, da Reazione a catena a Homo Eroticus, e qui, a parte alcuni esterni girati a Parigi (solo qualche fotogramma, perchè il budget era come sempre misero) ambienta l'intero film come fossimo in Francia, usando al massimo tre stanze ed il giardino...tanto con poco. Per i più curiosi: Villa Parisi si dice appartenesse al dittatore Francisco Franco. John Harrington (il protagonista) è un paranoico con un trauma infantile legato alla madre, questo è causa del suo essere diventato uno spietato serial-killer…niente di più scontato e prevedibile. Quel che manca alla trama Bava lo concede al suo geniale modo di girare. Si adopera nell'uso del grandangolare per ottenere inquadrature quasi psichedeliche ed evocative e ammette la presenza di un solo colore per posa (principalmente il rosso e il bianco)….rimarrà uno stratagemma vincente per aumentare la tensione emotiva in un film, come poi ci dimostrerà lo stesso Argento nei suoi arcinoti lavori. Tutto ci viene narrato in prima persona e con voce fuori campo dal protagonista. Questo, per volontà dello stesso Bava, è il solo legame tra quelli che sembrano essere più singoli episodi nella vita di quell'uomo che un susseguirsi logico e costruito di una trama. Bava vuole più farci immedesimare in quella mente folle che raccontarci una storia, vuole rappresentare la lucida scelta di un omicida guardandola con gli occhi dello stesso assassino…sospendendo giudizio e giustizia. Il serial killer baviano ricorda fortemente quello che 10 anni più tardi diverrà un'icona dello slascher-movie…mi riferisco a quel Frank Zito che nel Maniac di Lusting terrorizzerà l'America dei primi anni '80. Hanno in comune moltissimo, tanto da far gridare al plagio e non senza ragioni. Che Lusting abbia colto a piene mani dal film di Bava lo riscontriamo nella morbosa presenza di manichini di donna nella "tana" del mostro, nello stesso uso della camera, che segue il protagonista da vicinissimo, portandoci a vivere le scene con estrema e spiazzante veridicità e, non da ultimo, nella presenza di un trauma subito da entrambi i protagonisti con riferimenti alla figura materna. Vero pregio del film è una fotografia a dir poco perfetta…è così esattamente baviana perché Bava stesso l'ha fatta. Voleva un film che segnasse i suoi canoni stilistici in modo indelebile e ne fosse la summa, e almeno in questo dobbiamo dire che l'operazione è certamente riuscita. Questo è un film di Bava e anche chi fosse solo in possesso di una leggera infarinatura di classici dell'horror italiano lo riconoscerebbe come tale fin dalle prime sequenze. Film certamente da vedere per l'appassionato del regista sanremese e assolutamente da evitare per chi cerca in un film la sola coerenza del racconto. Solo avendo palato allenato e occhio avvezzo alla ricerca del "particolare" si gode di una pellicola come questa…perché spesso il bello di un film lo si riconosce con l'abitudine a cercarlo e non con un incontro occasionale e magari non voluto con un'opera del genere. La trama: Traumatizzato da piccolo come Norman Bates, John Harrington, paranoico impotente, uccide donne vestite con l'abito da sposa. Alla fine fa fuori anche la moglie Mildred, ma questa ritorna come fantasma, guastandogli la carriera da serial killer.

mercoledì 5 giugno 2013

Il conte Dracula (J.Franco,1969)


Parlando di Jesus Franco si citano, quasi esclusivamente e spesso sghignazzando, i suoi film più trash, i suoi a dir poco bizzarri e anche meno che mediocri filmetti erotico/horror commerciali. Effettivamente l'obbiettivo di Franco ha ripreso qualunque sogno, incubo e delirio avesse mai potuto partorire quella sua mente libertaria. Ha coccolato le manie e le perversioni di un particolare pubblico da B-movie (sexploitation, nazispoitation…) e ha provocato disgusto ai delicati palati di certa critica benpensante e ottusa. Questo non vuol significare che Jess (come amava farsi chiamare il regista spagnolo) debba essere posto nell'olimpo dei registi mondiali, e neanche farlo portatore di un qualche genio incompreso…era un decente cineasta, con buona tecnica e, cosa oggi rara, era un conoscitore vero del cinema. Arrivava a citare senza vergogna Murnau e Lang quando girava film come Greta, la donna bestia (exploitation estremo e malato) o il suo famigerato Vampyros Lesbos (psichedeliche visioni lesbo-libertarie). Aveva amore sconfinato per il cinema e, con pazienza e volontà, tra i fotogrammi dei suoi più o meno riusciti film si riscontra tutta quella sua passione e quella sincera voglia di "fare cinema". Prova di questo sia il film in questione: Il Conte Dracula. Soggetto quantomeno abusato e fin dal titolo inteso dal regista come l'esatta e perfetta rappresentazione sullo schermo del romanzo di Stoker. L'erotismo tipico delle pellicole di Franco qui è quasi scomparso. Solo le movenze e il fascino (infinito) di Soledad Miranda (Lucy, nel film) fanno tornare alla mente quei caratteristici "sapori" alla Jesus Franco che lo resero famoso ai più. Il romanzo è esattamente la scenografia…e questo è limite e peculiarità allo stesso momento. Ingabbia la fantasia del regista e perde in interesse, ma nessun altro film sul famoso Conte è mai stato così perfettamente quel romanzo. La trama è quindi ben nota…e altrettanto noto è l'attore che Franco sceglie per interpretare Dracula. E' quel Christopher Lee che già nel '58, per la Hammer film, incarnò un iconico e per molti insuperato vampiro. Il film è girato con una estrema attenzione (incredibile se pensiamo ai budget da miseria solitamente accordati a Franco) alla location e ai costumi. Un giusto e credibile sapore gotico è il mood di tutto il girato. Oltre Lee troviamo la musa di moltissimi film di Franco, quella Soledad Miranda che era per il regista spagnolo come fu la Steele per Freda, Margheriti e Bava. Bellezza semplice e quasi ingenua, ma capace sul set di catturare sguardi e provocare "pensieri"…una perfetta interprete delle volontà e dell'erotismo franchiano. Il perfezionismo del regista nel voler ripercorrere fedelmente il romanzo arrivò fino a munire di bianchi ed enormi baffoni il suo Dracula, cosa che vi sembrerà banale ma nessuno, non Murnau e neanche Browning, li riproposero mai sul grande schermo (solo il damerino di Coppola nel '92 li porta…ma non sembra essere cosa intenzionale) Questo è solo un semplice aneddoto che ci aiuta a capire quanto questo film per Franco volesse essere il manifesto del suo amore per quei classici del cinema horror, che vide e rivide, che amò e mai dimentico di citare nelle sue pellicole tanto bistrattate. Non ne risulterà un film eccezionale, la lentezza del girato è a tratti soporifera, l'aspetto tecnico degli effetti speciali rasenta il ridicolo, ma alcuni spunti e alcune scene dove la Soledad impera sono di buona fattura. Musiche di livello e meravigliosa, ieratica e muta presenza di Klaus Kinski, che interpreterà un Renfield memorabile. La trama: La vicenda è famosa ad ogni, anche accidentale,  conoscitore di cinema…mi evito l'inutile racconto.