lunedì 24 febbraio 2014

La morte negli occhi del gatto (A.Margheriti,1973)

Goticone…colmo di stilemi propri del genere. Castello d’ordinanza e segrete stanze abitate chissà da chi. Margheriti è un gran cesellatore, ha classe nel girare e nel dirigere gli attori e questo lo si avverte sempre nei suoi film, anche quando il soggetto in questione non ha certo le fattezze dell’opera d’arte. Nel 1973, anno d’uscita del film, il “gotico” sta per scomparire dai gusti e dalle intenzioni dei produttori e il  pubblico che entra nelle sale ha già sentito parlare de L’ultima casa a sinistra di Craven e non vuole più “giocare” con le finte ragnatele nei sotterranei dei castelli o con le tombe di vampiri e vampiresse…ma vuole la perfetta rappresentazione delle carni straziate e delle mutilazioni a colpi di machete. Margheriti nel ’73 ha già girato quasi 30 film e di lasciarsi spaventare da questa rivoluzione copernicana dell’horror se ne guarda bene…quindi scrittura un cast internazionale e di buon livello, parte per Arsoli (Roma), location del film, e si mette a lavorare. Immagina un film buio, interni polverosi e qualche candela per farci almeno intravedere gli attori che recitano, chiede alla Birkin di mostrare, senza esagerare, il corpo, cosa che ormai era praticamente d’obbligo per gotici o qualunque altro film che volesse fare un buon “botteghino”, e, con due righe di copione, porta a casa un buon film. Una leggenda vuole che i componenti della nobile famiglia MacGrieff uccisi da un consanguineo si trasformino in vampiri. Nel castello della famiglia scozzese si ritrovano le due sorelle MacGrieff e i loro figli, Corringa (Birkin) e James (Keller). Come è ovvio inizia una sequela di stranissimi omicidi, leggende e realtà finiscono per intrecciarsi. James è creduto pazzo e il suo comportamento “diverso” attira le attenzioni della cugina Corringa, che vede in lui l’unica possibilità di avere un alleato contro un pericolo che sente imminente. Molte persone perderanno la vita nel castello e a turno tutti o quasi verranno creduti colpevoli, ma nel sorprendente finale, scopriremo quanto di malvagio e interessato dimori nell’animo umano. I tanti omaggi a Poe presenti nel film lasciano intuire i gusti raffinati del regista in fatto di letteratura , ma non legano poi molto con la narrazione…restano chicche per appassionati, un puro divertissement. Nel complesso è un film ben recitato, senza picchi di bravura, ma onesto. Diretto con maestria e che ha nell’essere l’ultima flebile fiammella di un genere che ha fatto grandi i registi italiani il suo più grande difetto e anche gran parte del suo fascino. Cameo, o poco di più, di Serge Gainsbourg nei panni dell’ispettore di polizia.

lunedì 17 febbraio 2014

Macabro (L.Bava,1980)

Esordio alla regia di Bava jr…figlio di cotanto padre. Ignorare questa “discendenza” e non usarla come filtro nel recensire il film è realmente impossibile, quindi la useremo. Lamberto assistette (se non addirittura sostituì) il padre Mario nel suo ultimo film (Schock,1977), un lungometraggio di cui aveva anche scritto il soggetto e Argento aveva già girato i sui film più importanti. Ora, presentarsi con questa sua opera prima al pubblico, solo due mesi prima della scomparsa del padre Mario, non deve essere stato facile per il poco più che trentenne Lamberto…ma il film (buon per lui) ha struttura e senso, non eccelle ma neanche si impantana in un decotto horrorino tutto “cliché e sangue”. La cosa migliore del film?..il finale. Il finale di Macabro è baviano, malato, fastidioso nel suo delirio…disturba tutti, palati delicati ed incalliti amanti del genere, e anche solo per quello sarà valsa la pena aver visto il film. Scritto dai fratelli Avati con una libertà di espressione e una accuratezza nel cesellare protagonista e comprimari da farci sospettare una qualche loro particolare “affezione” all’argomento (?!) La location è una New Orleans decadente di vizi e appiccicosa di segreti (per gli interni si è scelta una villa sul lago di Garda sapientemente americanizzata) che fa da giusto teatro alla follia della storia e della stessa protagonista. Jane Baker (Stegers) è una annoiata signora della borghesia cittadina che si permette lussi e amante senza darsene troppe colpe. Incontra, in una stanza presa in affitto, il suo giovane amante Fred. I due sono “scrutati” da un loro vicino di casa, un ragazzo non vedente che ha evidentemente “percepito” il fascino della signora Baker. Durante uno di questi incontri la figlia più grande della donna riesce a rintracciarla e ad avvertirla che l’altro suo figlio ha avuto una disgrazia. Nella corsa verso casa l’auto guidata da Fred ha un incidente, la donna rimane illesa ma l’uomo viene letteralmente decapitato da un gard-rail che ha sfondato il parabrezza dell’autovettura. Questo è un particolare chiave per lo svolgersi del film…capirete solo dopo aver visto, intuirlo ora è difficile davvero. La donna viene rinchiusa per un anno in una clinica psichiatrica e, una volta uscita, come prima cosa ritorna nell’appartamento dove si incontrava con Fred. L’accoglie il giovane Robert (il ragazzo non vedente) e nel girovagare in quella casa ormai vuota la vediamo particolarmente interessata al congelatore in cucina…da lei chiuso con un lucchetto e, con suo grande sollievo, mai aperto da nessuno durante la sua assenza (cosa questo contenga è oltre ogni immaginazione e non vi rovinerò ulteriormente il gusto di scoprirlo). Jane è la passione segreta del ragazzo, ma lei vive nel ricordo e nell’adorazione del suo defunto amante, ogni cosa appartenuta all’uomo la aiuta a vivere la sua, evidentemente non curata, follia. Ed è questa, la pazzia che ha inesorabilmente colpito la mente di Jane (insieme alla fastidiosa perfidia di sua figlia Lucy), a dare al film motivo per essere annoverato tra gli horror psicologici più classici. Viene rappresentata con un crescendo emozionale di notevole fattura che ci porterà a partecipare con un certo turbamento alle scene che seguiranno…il rapporto tra la donna (che non disdegna di mostrare le sue grazie) e il suo giovane vicino, la sua passione, che sconfina nel feticismo e lo supera abbondantemente (!!), di Jane per le “cose” e il ricordo del suo Fred, ci accompagnano per mano verso un finale delirante e tutto da godere, che da solo basta per dare un buon voto al film. Bava jr ha quindi realizzato una buona opera prima, che contiene gli stilemi di più generi e di tutti ne usa il meglio. Il film è macabro come da titolo e thriller all’estremo. Recitato non nel migliore dei modi e magari con qualche lungaggine di troppo ha però parecchi altri meriti per farsi guardare e ricordare. Lamberto non è suo padre Mario e non si avvicina alla sua acclamata bravura, questo lo sappiamo, ma un suo ruolo, grazie anche alle successive collaborazioni con Dario Argento, nel nostro genere preferito lo ha comunque…questo solo se mai riusciremo a perdonarlo (perché quello è tanto brutto quanto intollerabile) per il suo remake del ’90 de La maschera del demonio, quasi blasfemia per noi appassionati, cresciuti con la Steele in mente e Bava (padre) nel cuore.

domenica 9 febbraio 2014

La vestale di Satana - Les lèvres rouges (H.Kumel,1971)

Alienata, decadente ed ennesima rivisitazione del vampirismo al femminile in stile Carmilla. L’erotismo e il fascino del diverso/demonio scorrono tra le acque e le nebbie di una spettrale Ostenda (Belgio). Il flebile sole d’inverno non importuna lo svolgersi lento di quelle giornate grigie, vuote di chiacchiere e  di villeggianti…e non importuna la “lunghissima” vita della Contessa Bathory (Delphine Seyring) donna dal fascino ungherese e vampiro per vanità. I segreti, che la nobildonna chiaramente nasconde, incatenano la nostra curiosità e ci avvolgono nelle sapienti spire di fascino perverso che Elizabeth Bathory emana.
Elizabeth Bathory
Le bellissime e pittoriche scenografie colmano i colpevoli vuoti di una storia fin troppo conosciuta da chi ama il genere vampiresco, ed aiutano, insieme all’uso sapiente e mai volgare del nudo e del voyeurismo, a lasciarsi coinvolgere dagli sguardi e dalle movenze delle, tutte affascinanti, attrici. Curioso e godibile film di genere…che non perde le belle atmosfere del romanzo di Le Fanu (al quale chiaramente si richiama) e quasi riesce nell’intento di dimostrare che il vampirismo è essenzialmente affare tra donne. Irride gli uomini e li relega a incapaci “non-protagonisti”. Film dal fascino nascosto e dal ritmo non convenzionale, atmosfere torbide e alterate, ben rappresentate da una discreta regia e da un’ottima fotografia. Superbo, elegante finale.