giovedì 27 dicembre 2012

Lo spettro (R.Freda,1963)


Come d'uso al tempo anche questo film di Freda presenta l'intero cast sotto la maschera di esotici pseudonimi, vezzo e volontà di togliere quella patina di provincialismo che poco giovava alla distribuzione, ma che ha anche avuto come effetto collaterale la poca circolazione, se non nei ristretti circoli di occhialuti cinefili, di nomi e di volti di bravi artigiani del cinema. Leggere dietro il nome d'arte è ora l'esercizio preferito di appassionati di questi film di genere, appassionati, quasi nella loro interezza, stranieri, che riconoscono a registi come Freda i cromosomi del cinema d'autore. Venendo al film…Ancora una volta il regista presenta quel suo quasi omaggio ad Hitchcock chiamando con il suo nome (barando su una sola lettera) uno dei personaggi principali del suo film. Possiamo immaginare che l'apprezzamento di Freda per il baronetto consistesse nel dare il dovuto peso alla bravura dello stesso nel costruire le sue immagini in movimento e le sue magistrali trame thriller. Lo spettro (il film in questione), sembra infatti quasi stare stretto nel suo vestito di "horror", vuole tendere ad un thriller d'oltremanica ma impreziosito dai colori e dai sapori del mediterraneo cinema nostrano, concependo un mix tutto particolare quanto ben riuscito. Non è il più bel film di Freda, non è il migliore per descrivere la sua sconfinata e incredibilmente variegata filmografia, ma ha il merito di presentare tutti quei canoni che, ad un occhio attento e allenato, fanno discernere il lavoro di Freda da quello di altri suoi colleghi/rivali dell'epoca (leggi Bava, Margheriti o, dopo ancora, Fulci). La trama: Il disabile Dottor Hichcock cura la sua parziale paralisi con una pericolosissima medicina di sua invenzione che prevede la somministrazione del curaro e del suo antidoto in dosi e tempi ben precisi. In questo lo aiuta un giovane medico, il dottor Livingstone. Margaret (Steele) è la bella moglie di Hichcock e ben presto sapremo anche innamorata di Livingstone. I due architettano l'omicidio dell'anziano e ricco marito…ma strani accadimenti scuoteranno le loro menti e la loro coscienza. Lo spettro dell'uomo sembra perseguitarli e volersi vendicare. Trama, quindi, senza eccessivi colpi di genio e particolari invenzioni, ma il vero valore del film risiede in quella strana atmosfera che nei film di Freda è marchio e bellezza. I colori strettamente gotici e uno stile nel girare che sembra usare lo slow-motion senza usarlo veramente…gli attori entrano ed escono di scena con ritmi e movenze da balletto classico. Come quasi la totalità dei film horror del ventennio 60/70, anche Lo spettro risente di quello che per un regista è il "problema" per eccellenza…la fretta del produttore. Sette, otto o dieci giorni per portare a termine lavori con sceneggiature complesse e con effetti speciali da inventare. Attori, tolti (forse) i protagonisti, con attitudine poco maggiore di una comparsa, da guidare e rendere credibili. Location da cercare e trovarobe in azione…riuscire ad organizzare tutto questo è già metà della bravura di un regista, e in questo Freda è maestro e non perde l'occasione di mostrarlo anche in quest'opera. Altra particolarità, qui non ben riuscita, di questo film è una musica che "copre eccessivamente" sempre e comunque ogni gesto e sguardo di ogni singolo attore. Mai assente, mai che lasci al silenzio sottolineare quel che solo l'assenza di musica e parole può sottolineare. E' ora sottofondo ora frastuono, un carillon nostalgico o una sferzata di violino a marcare pedissequamente lo sgranarsi degli occhi della Steele…che  qui appare leggermente stanca e poco convinta del suo personaggio. In sintesi, il film è un buon esercizio di scuola per imparare a fare il palato a quel particolare genere di lavori che mostrarono al mondo il genio dei cineasti italiani, che ebbero nei cosiddetti B-movie uno dei migliori e invidiati segni distintivi.

mercoledì 19 dicembre 2012

Gli invasati (R.Wise,1963)


Figura eccelsa di uomo di cinema, una vita fatta di sfide vinte e valanghe di premi per lavori ormai nella storia della settima arte. Robert Wise è quello di Lassù qualcuno mi ama, di West Side Story e di molto altro bello del cinema statunitense…tra le tante una perla è questo horror/thriller di rara bellezza e coinvolgente come pochi. Al solito la distribuzione italiana rischia di rovinare tutto, partorisce titoli tanto scadenti e così poco invitanti da crede che dell'opera importi poco a vantaggio di roba meno di nicchia ma facilmente vendibile. Gli invasati (questo il titolo) rende davvero nulla della storia, non avremo, come sembra suggerirci il titolo, a che fare con maniaci del paranormale e fissati dello spiritismo…tutt'altro sarebbe dovuto essere il titolo e tutt'altro è il film. Una casa maledetta, infestata dagli spiriti…Questo è l'incipit fuori campo che una voce narrante inizia a recitare fornendoci i primi elementi per capire quello che sarà l'argomento del film. Una villa in una campagna isolata è famosa per essere ritenuta dimora di presenze soprannaturali, frutto dei tanti delitti e tragedie avvenute tra quelle mura. La trama: Il dottor Markway, insieme a persone da lui scelte per accompagnarlo nella ricerca, ha intenzione di studiare questi fenomeni e affitta dalla legittima proprietaria la casa per l'estate. Tra questi vi è Eleanor, giovane donna con un passato di rinuncia a beneficio della madre malata, accudita per anni e morta (così crede lei) per una sua negligenza. Theodora, una donna emancipata e molto diversa da Eleanor, le sue doti mediatiche interessano Markway. Altro personaggio è il giovane Luke, che erediterà la villa e principalmente vuole curare i suoi interessi in quella strana spedizione. La casa ben presto si presenterà…accadimenti e scoperte terranno gli ospiti in una situazione perenne di terrore e verranno convinti che quei corridoi, stanze e finestre hanno una loro vita e pretendono il sacrificio di chi entra in contatto con essa e con chi vi ha dimorato e li lisciato la vita. Folgorante l'inizio del film, incredibilmente moderna la struttura del racconto, considerando i suoi quasi 50anni, e sensazionali gli aspetti tecnici che Wise e i suoi collaboratori hanno portato al film. Una musica ancorata al girato come in un film muto, un montaggio veloce e mai banale e una fotografia furba e così ben fatta da aver inventato inquadrature e fotogrammi degni di essere ricordati tra i migliori di sempre, sia del genere in questione e forse anche del cinema in generale. L'aspetto psicologico dei vari personaggi non è meno importante e non meno curato. E' la chiave stessa di lettura dell'intera opera. Tutti fanno da cornice al manifestarsi dei sensi di colpa di Eleanor che recitano paralleli a quanto accade in quella casa e spesso si intrecciano e confondono gettandoci in una sublime confusione, che non permetterà a noia e banale di macchiare un film quasi perfetto. Il candore e la perfidia di Nora (Eleanor) portano ad esplorare di nuovo quello che il maestro Hitchcock pensò per la sua Marion in Psyco, il "buono" mai così veramente buono e l'innocente mai veramente innocente. Nora è avvicinata per questo suo ambiguo fascino dalla stessa Teo (Theodora) che è attratta da lei e approfitta del bisogno di Nora. Quindi il film non manca di elementi interessanti (e vagamente ai limiti, come nel caso appena scritto, siamo nei puritani '60) e vengono usati al meglio per stuzzicare il nostro interesse…mancano invece effetti ridicoli per suscitare terrore o maschere demoniache per paralizzare lo spettatore. Vengono usati elementari paure e elementari situazione puntando sul fatto che la bravura degli attori, la musica e il montaggio potessero bastare per imbastire un horror importante. Missione questa certamente riuscita e che ha lasciò un altro trofeo nella bacheca delle sfide del bravo Wise.

lunedì 17 dicembre 2012

Marebito (T.Shimizu,2004)


A volte è un film e la sua storia a generare un interesse e a stimolare una domanda solo poi scoperta personale e privata, a volte invece sono le nostre stesse domande a forzare un significato, ad interpretare e dare senso anche al più inconcludente dei copioni. Premessa dovuta dovendo parlare di un film difficile o forse difficilissimo, dove una trama appena colta si contraddice e si complica nell'arco di poche inquadrature. Un viaggio nella mente malata e ipersensibile di un uomo, ormai alieno ai suoi pensieri e da questi schiavizzato ad una vita da sopravvissuto. Certo, è un horror o come meglio si dovrebbe dire un weired-horror, uno strano sottogenere del classico film "di paura". Nessuno dei canoni classici di un horror è presente in Marebito, o almeno nessuno nella sua accezione comune. Se arriveremo a vedere un vampiro è solo per essere questa la maschera migliore scelta per rappresentare il consumarsi del protagonista in quel suo malessere, innalzato a difesa verso gli attacchi di un mondo cinico e ormai boia di deboli e di non omologati. La trama: Il cameraman non professionista Masuoka filma, trovandosi li per caso, il suicidio di un uomo nella metropolitana di Tokio. Guardando e riguardando quel filmato avverte nello sguardo di quel disperato un qualcosa che allo stesso tempo lo atterrisce e lo sente familiare in egual modo. Torna nel luogo della tragedia e trova (o crede di trovare) un varco verso un mondo sotterraneo, cunicoli fetidi e bui abitati da emarginati e dalle paure dello stesso Masuoka. In quel mondo perso incontra una ragazza che vive segregata e nuda in una grotta sotto la città. La porta nella sua stanza in superficie e la "alleva" dopo aver considerato il suo stato per nulla umano. Quella ragazza, che l'uomo chiamerà F, si nutre di sangue…umano. Diventata la sua unica ragione e quel che darà una parvenza di senso ad una vita finita, arriverà ad uccidere per lei…lei che nel finale sarà la sua salvezza, portandolo ad accettare la sconfitta e il suo essersi trasformato in un alieno senza parole e senza motivi per averne. Errore sarebbe aspettarsi da un film come Marebito coerenza di trama e facile comprensione, è criptico e ai margini del nonsense…è corrosivo e indigesto, ma magnetico e tanto spiazzante che nel momento in cui avremo dallo stesso protagonista un cencio di spiegazione di quel che accade ne capiremo immediatamente anche l'inutilità, avendo ormai raggiunto un piano di lettura dell'opera ben oltre la stessa logica stretta di una trama. Ma cosa cerca veramente Masuoka in quei sotterranei? Chi o cosa è F? La paura, il terrore..questo cerca. Vuole vedere e provare il vero senso del disperato sgomento, vuole questo per sentire la sua spina dorsale ancora drizzarsi per quel sentimento così meravigliosamente umano, vuole il panico come ultimo appiglio prima di abbandonarsi al baratro del "sopravviversi". Come sempre notevole l'interpretazione di Tsukamoto e brava T.Miyashita che, interpretando F, risulta credibile e perfettamente nel personaggio. Il Giappone e i giapponesi esorcizzano le loro paure e il loro aver creato un paese ormai sfuggito al controllo dei suoi stessi abitanti, partoriscono film come Marebito per iniettarsi antidoti e vaccini contro quel male che mina la antica e gloriosa società del sol levante…medievale nelle usanze e perdutamente moderna. In questa contraddizione il Giappone vuol sopravvivere o almeno gestire consapevolmente l'inevitabile decadenza.


lunedì 10 dicembre 2012

Reazione a catena (M.Bava,1971)


Undici omicidi (11), non commessi da un unico serial killer da scoprire sul finale della storia, ma una catena di barbare uccisioni con tanti colpevoli e un solo scopo. Tutti vogliono mettere le mani su un angolo di natura ancora selvaggio e splendidamente poco abitato. Bava sembra scherzare con lo spettatore, dimostrando ancora una volta una maestria nella costruzione delle scene che è stata scuola per tanti, più o meno celebri, registi d'oltreoceano e nostrani. Vista la locandina si potrebbe credere di doversi sorbire la visione di ettolitri di sangue o disgustose scene da macellaio…e queste non certo mancano nel film, ma il maestro Bava riesce a renderle quasi un irreale fumetto, colpiscono per la trovata geniale/assurda (si veda per tutte l'omicidio della coppia di amanti) e non per il loro realismo evidentemente mancante. In un lussuoso salone di una villa si compie l'omicidio di una anziana contessa, impiccata da un uomo che non faremo in tempo ad intravedere che sarà esso stesso vittima di uno sconosciuto. L'eredità della donna comprende la proprietà di una piccola baia e alcune rare costruzioni, è una forte attrazione per la natura rigogliosa ma ancor più per le sue potenzialità edilizie. Eredi, sciacalli e chiunque abbia un minimo di possibilità di venire in possesso di quel bene verrà a far parte di una vorticosa serie di omicidi. Moriranno gli innocenti, moriranno i colpevoli e, come in una versione sanguinolenta dei Dieci piccoli indiani, uno ad uno verrano eliminati i possibili indiziati. Un finale sorprendente e bizzarro spiazzerà chi guarda e magari regalerà un sorriso d'approvazione. In questo è la chiave della "poetica " del regista. Come nel suo bel film I tre volti della paura Bava inventa uno di quei finali che mai ti aspetteresti, che nessuno se non il coraggioso Bava avrebbe l'ardire di montare in coda a un film come questo…horror classici con canoni precisi e che, oggi come allora, si prendono maledettamente sul serio, dimenticando il loro essere film e quindi intrattenimento per definizione…e nulla altro. In questo esiste quel divertirsi del nostro regista, non è sua intenzione spiazzare per poco rispetto ma per dare al suo lavoro una firma riconoscibile e, prima di ogni cosa, far partecipe chi visiona i suoi film di un mondo fatato come quello del cinema…togliere quel velo di serietà o far respirare l'aria del set (come in I tre volti della paura) diventa uno stratagemma perfetto per accattivarsi in modo bonario le grazie e la stima di spettatori e colleghi. Musiche del solito (per l'epoca) Cipriani, che incoronano la parte iniziale e il finale del film con un incedere epico che sembra urtare con il tema e le immagini, ma che scopriremo essere perfette nella loro originalità. Famoso il trailer (qui di seguito) che si autocensurò usando colori iperpsichedelici a camuffare le scene di sangue e i nudi. 

giovedì 6 dicembre 2012

Alba fatale (W.A.Wellman,1943)


Un western atipico e prezioso, un film che usa pistole, cavalli e stivali senza lo stereotipo che questi oggetti portano alla memoria…è solo il costume finto machista per eccellenza che ridicolizza i personaggi duri e puri della vicenda. Nessun fischio e musiche maestose alla Leone, nessun epico paesaggio delle montagne rocciose o gli occhi di Clint strettissimi nell'obiettivo. Soggetto tratto da un romanzo del 900 e magnificamente riportato sullo schermo, con una perfezione stilistica e una cura maniacale nella costruzione di ogni singolo personaggio, protagonista o no, che non si dimenticano. Sguardi, smorfie e tic,…questi si incastonano a perfezione in quel progetto scarno ma chiarissimo che il regista Wellman aveva in mente. Gli abitanti di un piccolo paese del Nevada, siamo nel 1885, sono alle prese da qualche tempo con dei ladri di bestiame che rendono la loro vita, già dura e misera, insicura e ancora più insopportabile. La ricerca del colpevole per l'ennesimo furto e omicidio li porta sulle tracce di tre individui che ai loro occhi risultano essere i certi assassini. L'intervento di alcuni paesani più avveduti e di pochi altri non riesce a salvare la vita ai tre malcapitati…ma una sorpresa li attenderà alle prime luci dell'alba. Pregio sicuro del film è la galleria esatta di persone e personalità che verranno presentate durante lo svolgere della vicenda. Sono aboliti gli eroi, non esistono veloci pistole e se vediamo la polvere non è per dare enfasi e avvolgere l'incedere di uno straniero a cavallo, ma è solo polvere che sporca anime e persone. Ci ritroveremo ad odiare quell'impettito ufficiale confederato, autoritario e ridicolo nella sua uniforme…disprezzerete le risa folli di quei dannati assetati di sangue e ormai aridi come la roccia del deserto che circonda quel paese. Il film procede verso un finale che definiremo a tratti commovente nella sua semplicità. Non si vuole creare l'inutile melodramma ma si lascia ai fatti e alla loro inevitabile conclusione un senso di angoscia non facile da gestire. Scenari cupi e senza rumori di fondo aiutano ad abbandonarsi in quella teatrale rappresentazione di una storia banale e allo stesso tempo metafora di quanto di poco umano a volte possa partorire un uomo. Chiarissimo attacco ad una giustizia più eclatante che giusta…più da caccia alle streghe che equilibrio e garantismo. Tra gli attori cito un sempre bravo Henry Fonda e un giovane Anthony Quinn, ma il valore del film è fatto dai quasi sconosciuti altri attori che vi lavorarono, perfettamente guidati da Wellman e, forse a loro insaputa, partecipi di uno dei film più singolari del panorama western di sempre.

lunedì 3 dicembre 2012

Il pensionante (A.Hitchcock,1926)


Per definirsi importante questo film ha tanti motivi. E' importante perché è un  un film di Hitckcock (come non esserlo), è importante per essere un film che lo stesso regista definì il suo "vero primo" e soprattutto il primo uscito bene della sua filmografia…e importante per contenere diverse scene che il baronetto riusò in molti dei suoi lavori successivi (alcune celeberrime). Senza respiro sono le scene iniziali che introducono la storia e con alcuni elementi presenti che non potranno che catturare l'attenzione di chi guarda e tenerla fino alla fine. E' un film del 1926 che è la prova esatta di quanto quell'uomo dietro l'obiettivo avesse potere di vedere nel futuro dell'arte cinematografica. Sapeva che serve dare un eroe allo spettatore, un eroe buono o cattivo ma che deve portare, anche inconsapevolmente, le paure e le ossessioni di chi guarda sullo schermo grande di un cinema. La trama: Un misterioso omicidio sconvolge una Londra nebbiosa e cupa. Si imbastisce già, da parte dei giornali, la legenda di un serial killer di giovani donne bionde. Mentre tutto questo accade, un uomo enigmatico affitta una stanza nella casa della famiglia Bunting. La giovane Daisy rimane colpita dallo strano inquilino ma è fatalmente e sfortunatamente fidanzata con il poliziotto che verrà incaricato di catturare l'assassino di giovani donne, ormai noto a tutti come Il Vendicatore. Il gendarme, per convinzione e soprattutto per gelosia, arriverà ad incolpare Jonathan (questo il nome del misterioso pensionante) e un finale vorticoso e bellissimo chiarirà a tutti, con colpi di scena degni di Hitchcock, la verità sulle cose. Uno dei temi importanti e presenti nel film è un concetto che solleticava allora come oggi la sensibilità di molti cineasti. L'accusa di questi è rivolta verso quella beota massa di persone che si lasciano esaltare dai titoli cubitali dei giornali e da parolai carismatici. Ne fanno le spese innocenti, diversi dallo stereotipo comune, esempio per tutti è l'M di Lang. Quindi si punta il dito, probabilmente, verso le stesse persone che in sala visionano il film, si indica ai più attenti il pericolo di basarsi sulle apparenze per condannare…il germe del predicatore è spesso ben insinuato nell'organismo di artisti e  dei registi per primi. Il film, tornando all'aspetto tecnico, è ben girato e magari eccede nella ricerca dell'inquadratura "mai vista", come l'aver pensato ad un pavimento in vetro per riprendere il protagonista dal basso, e se questo lo pensiamo avvenuto nella mente del regista nei primi anni 20 del secolo scorso…dimostra tutta la potenza di quel geniaccio inglese. Una chicca da non perdere è una scena che vede Daisy "attaccata" di sorpresa da una figura con un coltello mentre è al trucco…vedere in questo Psyco è fin troppo facile. Merita sicuramente anche la preziosa e decisamente "teatrale" recitazione di un divo di quei tempi che è Ivor Novello…musicista, scrittore, attore e sceneggiatore, con un misterioso e ambiguo fascino e naturali modi eleganti, che innamorò le donne di mezza Inghilterra. Il pensionante è a pieno titolo tra i più rimarchevoli esempi di espressionismo alla tedesca allora di moda, ma, anche essendone coevo, se ne discosta fortemente per sapore e storia e per avere quel marchio prezioso di un giovane ma promettente regista di thriller…un futuro "maestro del brivido".

venerdì 30 novembre 2012

A drowning man (N.Ichio,2002)


Le camere posizionate come fossero nascoste, fisse e con una bassissima definizione. Una lentezza disarmante e che dovrebbe bastare per evitare la visione del film…ma poi la trama intriga e la stessa lentezza ne diventa la caratteristica. Molto della storia sarà quello che chi guarda il film vede o crede di vedere nascosto tra gli scarni dialoghi e le misere scenografie. Dovremo spesso considerare che quel ritmo impossibile e quanto di più reale si possa rappresentare, quasi una "presa diretta", lenta tanto quanto lo sono i nostri gesti quotidiani. Non un falso vorticoso susseguirsi di inquadrature che è parte della finzione di un film, ma un racconto più vero di quanto la stranezza della trama ci farà credere. La trama: Due giovani sposi vivono in un piccolissimo appartamento alla periferia di una qualunque città del Giappone. Kumiko è una casalinga e ama il suo Tokio (il marito). In uno dei loro giorni uguali accade quello che segnerà le loro vite e metterà dubbi nel loro rapporto. Tokio trova Kumiko affogata nella vasca e un torpore e una strana calma lo prendono tanto da non fargli fare praticamente nulla, nonostante la drammaticità della situazione. La ragazza inspiegabilmente si riprende e dopo l'iniziale stupore e felicità del marito inizieranno i dubbi e le domande sul perché quella calma e tranquillità avesse prese il posto della, più adeguata, disperazione. Il rapporto è compromesso e neanche l'arrivo di un figlio può rimediare. Tokio è ossessionato da quell'avvenimento e tratta Kumiko come fosse uno spettro…Ma cosa è veramente successo? Kumiko è viva o sopravvive? Ottima interpretazione dei due protagonisti e in particolare quella di S.Tsukamoto (il celebre regista) che sappiamo essere anche un bravo attore nei suoi film. Questo è diretto da una sconosciuta regista, Naoki Ichio. Solo da questo film dovremo dedurre la sua bravura, non ha prodotto altro nei 10 anni che hanno seguito questo suo lavoro. La direzione è fredda e minimale e sicuramente indovinata è la scelta di non usare il movimento dell'inquadratura per descrivere le scene, ma lasciare che siano gli attori a muoversi come una scatola che li costringe nei pensieri e nello spazio. Quell'angusto appartamento è il terzo protagonista della storia. Chiude la voglia di uscire da quel rapporto in mura troppo vicine tra loro per essere considerate spazio vitale. Quel tavolo addossato alla parete, dove il mangiare è rito e silenzio, è quasi il castigo per quell'amore sprecato nella quotidianità che lo uccide lentamente. Quel rapporto morirà come è morta Kumiko, che forse sembrerà ritornare a vivere ma non andrà più oltre il solo sopravvivere. Film difficile da trovare e solo con i sub ita....credo mai distribuito in Italia.

mercoledì 28 novembre 2012

L'orribile segreto del Dr.Hichcock (R.Freda,1962)


L'orribile segreto del Dr. Hichcock…(titolo che, barando su una sola lettera, possiamo immaginare un omaggio al baronetto, come forse lo sono anche alcune tematiche del film stesso) se non fosse per un tema di fondo eccessivo ancora oggi, così come e ancor di più nel 1962, che è la necrofilia, sarebbe stato ricordato come uno dei migliori horror italiani e magari europei dei '60. Non era certo Freda tipo da badare ai delicati gusti del pubblico nelle sale, ma quel confine debole, e magari inutile, che lo porta a remare tra eros, perversioni e malati aspetti dell'animo umano era ormai stato superato. Per chi oggi conosce la filmografia del regista è notevolmente più semplice accostarsi ad un'opera del genere, ne riconosciamo la poetica e la firma e possiamo godere della magistrale costruzione del film senza rimanerne scioccati. La trama: Uno stimato chirurgo, il Dr Hichcock, ha inventato un rivoluzionario anestetico che rallenta il battito cardiaco simulando la catalessi e permettendo di operare con maggior efficacia i suoi pazienti. Egli utilizza questo suo preparato anche per assecondare la sua perversione, la necrofilia. Costringe la giovane moglie ad assumere, lui stesso lo inietta nelle vene della donna, il suo anestetico potentissimo. Solo in quella condizione riesce a possederla, ma perderà il controllo del suo macabro desiderio e somministrerà una dose eccessiva uccidendo la ragazza. Lasciata la sua casa dopo quella morte ne tornerà dopo diversi anni con una nuova moglie (B.Steele). Troverà la sua anziana governante, che conosce da sempre il suo segreto, che oltre a badare alla dimora ha accudito sua sorella malata di mente permettendole di abitare quella casa, enorme e vuota. Per Cynthia, questo il nome della nuova moglie del dottore, inizia un percorso di paure e misteri che la convincerà ben presto di essere in pericolo di vita. Hichcock cercherà di persuaderla che il suo stato è conseguenza della depressione avuta dopo la morte del padre ma la vicenda è destinata ad un vorticoso ed entusiasmante finale. Il grande pregio del film di Freda è senza dubbio la costruzione della suspance evitando per questo di ricorrere a inspiegabili fenomeni paranormali o vampiri e zombie, ma con il solo filo rosso dell'ossessione del protagonista a non permettere alla tensione di scemare. Bravissima la Steele a suscitare quel senso di continuo sgomento che incuriosisce l'appassionato cinefilo, avvezzo ma mai sazio. Il cast internazionale, vero per i due protagonisti, e il vezzo dei nomi d'arte americaneggianti per gli altri italianissimi attori e per Freda per primo, hanno aiutato il film ad essere conosciuto fuori dai confini nazionali e paradossalmente più apprezzato che da noi. Ovviamente il film non è privo di difetti, alcune banalità e trovate dozzinali lo scalfiscono solo superficialmete, e forse lo stesso sforzo che il regista opera per "internazionalizzare" il suo film lo rende troppo di maniera e colmo di stereotipi occasionalmente stucchevoli. Ma non è possibile evitare di sentirsi soffocare tra i corridoi di quel grande palazzo, senza mai luce e così tanto gotico nella sceneggiatura da superare, con il suo colore velato, anche i più ovvi B&W del genere.

sabato 24 novembre 2012

The Turin Horse (B.Tarr,2011)


Lunghissimi,interminabili pianisequenza. Lunghissimi, interminabili silenzi, o meglio, assenze di parole…di inutili e inadeguate parole. In uno scenario postatomico o forse medievale, di povertà data dall'autodistruzione o dalla carestia. Due personaggi tra le luci e le ombre nerissime di un Bela Tarr meraviglioso. La vita subita più che vissuta, lasciando alla ripetitività dei gesti la ricerca di un senso minimo a quell'esistenza. La trama: La trama è presto detta. Una voce fuori campo che narra della pazzia che prese il filosofo Nietzsche dopo che a Torino assistette alle frustate inflitte ad un cavallo dal suo padrone, poi si apre la scena su uno dei più bei pianisequenza della storia. Un vecchio ed evidentemente stanco cavallo (forse lo stesso del racconto iniziale) trascina un carro ed un uomo verso un casolare nel mezzo del nulla. Qui la figlia dell'uomo aiuta a ricoverare il carretto e quel compagno animale. Senza, o quasi, dialoghi assisteremo alle giornate, senza calendario e senza differenze. Mangiare patate e dormire. Dormire e poi il carro per trasportare il nulla. Poi patate e poi nulla. Quel cavallo si ammala, quel cavallo non avrà più motivo per vivere e insieme al suo rifiuto alla vita decreterà la fine di chi con lui viveva, di chi con lui mangiava. La fine è imminente e la fine ha una musica, ha uno strumento solista …è un vento possente che fa sbandare le persone, le tormenta, le accompagna verso un finale tanto silenzioso da essere insopportabile frastuono e poi il nulla vero, il nero di uno schermo pieno di tutte le scene viste e riviste, forse accadute ma niente più a provarne l'esistenza passata. Film di una difficoltà estrema, dove niente è facile e dove si deve sublimare la lentezza e renderla suggestione per coglierne le verità profonde. Una maestria tecnica che Tarr mette a disposizione di un lavoro che sarebbe giusto definire la "prova d'artista" perfetta. Definirlo però, come fortemente credo io, un film-speranza potrebbe sembrare a molti la più grande delle assurdità…ma come non vedere in quei gesti a memoria, testardi e mai cambiati un caparbio attaccamento anche alla più misera vita possibile. Come non chiamare coraggio e lotta l'incedere faticoso contro un vento tiranno o quello strappar via furiosamente la buccia da quel cibo non da uomini, ma pur sempre nutrimento., non è questo forse uno dei gesti più disperatamente umano che esista?! Quella giovane donna che aiuta a vestire il vecchio padre…non lo fa con gesti servili, come ad un occhio poco accorto potrebbe sembrare, ma rende quel rito quasi la vestizione di un cavaliere che con la sua corazza di stracci resisterà a quel mondo per un altro giorno ancora. Tutto questo con un modo di girare e di inquadrare che definiremo "epico", che dona ritmo a scene quasi immobili…che, primo e per tutti quell'iniziale pianosequenza, dimostra la bravura del cineasta ungherese. Un capitolo a parte sarebbe da dedicare a quel Mihàly Vig che, in questo e spesso, suona le musiche nei film di Tarr, portando l'espressività già potente di quei frame a livelli di eccellenza mai esplorati e "condanna" film come questo The Turin Horse a quell'olimpo di inarrivabili capolavori della settima arte.

mercoledì 21 novembre 2012

Danza Macabra (A.Margheriti,1964)


Il solo a poter competere con il migliore del "genere"…l'unico rivale di quel grande film che è "La maschera del demonio" è questo celebre lavoro di Margheriti. Film famosi in egual misura ma diversissimi tra loro. Prime differenze (e molte) sono quelle nella personalità dei due registi. Il primo (M.Bava) era artigiano serio e con l'intenzione manifesta di fare il meglio, il secondo (A.Margheriti) più furbo e ruffiano nei confronti dell'appassionato pubblico dei suoi film. Cavalcò il genere fantascienza e ne divenne un profeta, insinuò l'eros (il film di cui parliamo e diversi altri hanno subito la scure della censura, almeno in Italia, per scene che oggi andrebbero bene anche per Paperopoli) con sapiente mestiere nei suoi lavori tanto da dar loro particolarità se non addirittura unicità. Per tutti parliamo di questo cult che segnò nel mondo del gotic-horror nostrano una nuova linea di confine da superare. Un film di fantasmi dove nessuno dei personaggi vivi è più vivo dei fantasmi stessi. Li pensa (il soggetto è di Corbucci e Grimaldi) in preda alla passione, come se quel loro attaccamento ai sensi fosse garanzia di vita oltre la morte. La trama: Il giornalista londinese Alan Foster deve intervistare il celebre scrittore americano E.Allan Poe che si trova in quei giorni a Londra. Durante l'intervista farà la conoscenza di Lord Blackwood che lo sfiderà, vedendolo scettico e coraggioso, a passare quella notte, la notte dei morti, nel suo castello. La scommessa ha senso per l'esistenza di una leggenda che vuole mai nessuno uscito vivo da quel castello dopo aver passato in quel luogo sinistro quella notte così particolare. Vari e variegati personaggi si presentano e raccontano la loro storia ad Alan e tra questi la sorella di Lord Blackwood, Elizabeth..La donna si innamora del ragazzo e dovrà convincerlo del suo essere "cadavere" e soprattutto di non poterlo seguire nel mondo dei vivi, ma cercherà di salvarlo dai suoi "amici non-morti" che vogliono ucciderlo. Quella notte Foster assisterà alla ricostruzione macabra (da qui il titolo) della vicenda che portò alla morte di tutti i partecipanti a quel ballo di dieci anni prima. Gelosia e sesso furono i moventi e l'incredulo giornalista dovrà rivedere, e presto, il suo scetticismo. Le figure centrali della storia, oltre il protagonista, sono le due protagonisti femminili che arriveranno (siamo nel 64) ad accennare un rapporto saffico che porterà al film più adepti che un qualsiasi altro effetto speciale. Le due attrici sono Barbara Steele (a dire il vero non perfettamente truccata e con uno sguardo forzato e non dei suoi migliori) e una affascinante attrice norvegese Margarete Robsahm. Una mora e una biondissima, estremi opposti che si attraggono e poi minori figure maschili che fanno da contorno alla loro presenza. Margheriti sfrutta il carisma delle due donne per infondere ai suoi fantasmi una "carnalità" mai vista in uno spettro prima di allora e a dare ad un film che tutto sommato usa i più visti e rivisti canoni dell'horror (tombe che si aprono, gatti che spaventano il protagonista o cattivoni che arrivano alle spalle della donna di turno) un suo carattere peculiare grazie anche alla buona fotografia di un bravo come R.Pallottini. 


domenica 18 novembre 2012

I vampiri (R.Freda,1957)


I primi frame con l'inconfondibile musica-incipit della Titanus Film ci portano immediatamente alla mente le numerose commedie-romatiche che occupavano i cinema nei '50 di una nazione appena uscita dalla guerra. Pane, amore e fantasia o Poveri ma belli erano il cinema di allora. Riccardo Freda girava invece i suoi famosi film d'avventura (Aquila nera, Spartaco..) e con classe e mestiere. Era quindi avvezzo a misteri, terre lontane e intrighi e si volle provare in un genere nuovo e mai veramente proposto in Italia….l'horror. O meglio, parliamo di un film dove si iniziano e classificano i canoni che faranno parte di quasi tutti i successivi lavori del genere. Per il suo "I vampiri" chiama collaboratori unici. Avrà Bava come direttore della fotografia e Roman Vlad per le musiche e del talento di questi è pieno il film. Il gotico, i castelli e le segrete fanno già parte dell'immaginario di quest'horror in fasce e questo suo essere "il primo dei tanti" ci aiuta a perdonargli diverse ingenuità (pipistrelli appena credibili, e una Parigi fin troppo evidentemente, e incredibilmente, ricostruita in studio di posa). La bellissima (Gianna Maria Canale, con occhi pari alla Steele e mani affusolate da gran dama) contrasta con la sua bellezza l'atmosfera e le muffe che il bravo Freda ha saputo girare e dato inizio a, se non memorabili, particolarissimi film di genere che hanno ancora affezionati, sia in Italia che sotto le grandi lettere della collina di Hollywood. La trama: Pierre Lantin, un giovane giornalista parigino, indaga sulla misteriosa morte di numerose ragazze. Queste vengono trovate senza più sangue e con nessun segno di violenza. Si comincia a parlare di vampiri e le notizie appagano la curiosità dei parigini. Nel castello dei Du Grand vive un'anziana baronessa e la sua giovane nipote. Quest'ultima è innamorata del giornalista, come sua zia, in gioventù, del padre del ragazzo. Quel sangue preso alle ragazze avrà un ruolo fondamentale per lo svolgimento della storia e non mancheranno colpi di scena. Difficile sintetizzare la trama senza rischiare di rovinare la visione, e la stessa descrizione di alcuni effetti speciali avrebbe lo stesso risultato….eviterò. Questi (memorabili effetti speciali), però, sono la vera novità presente nel film. Se avrete la curiosità di vederlo apprezzerete le straordinarie trovate e le quasi magie che impreziosiscono questo piccolo gioiello di film. Il titolo non rende merito alla storia, è più ad uso della trovata per attirare lo spettatore che a descrivere fedelmente le vicende raccontate. Bava e Freda riescono a stupire ancora oggi chi gode del film e immaginiamo quanto possano aver colpito chi lo vide nel '56. Il finale è opera dell'ottimo Bava che prese il posto di Freda quando la produzione cercò di imporre scelte diverse da quelle iniziali. In conclusione "I vampiri" è su una sottile linea di confine tra un cupo film poliziesco, quasi un noir e un abbozzo di horror di notevole interesse che merita di essere ricordato per le furbizie tecniche, genialità da artigiani del cinema e per quella collaborazione di Bava che forse convinse definitivamente il regista/direttore della fotografia/sceneggiatore sanremese a dedicarsi al cinema "di genere" regalandoci i suoi capolavori.


giovedì 15 novembre 2012

Sun scarred (T.Miike,2006)


Proteggere la famiglia, sua moglie e la loro bambina o non rimanere indifferente e intervenire quando una banda di giovani teppisti decide, quasi per gioco, di picchiare a morte un clochard? Questo deve decidere Katayama…quel suo atto di generosità (perchè deciderà di aiutare quel vagabondo) ricadrà sulla sua esistenza come una mannaia. La società giapponese vive un mai risolto conflitto tra la loro innata gentilezza e una mal celata ed esplosiva violenza, figlia diretta di una solitudine che striscia tra le luci dei neon e la dea tecnologia. Questa modernissima società di uomini ha bisogno di regole e moltissimi compromessi. Deve punire chi sbaglia e redimere chi può pentirsi e cambiare…come lo possono essere dei minorenni (questo è il vero tema del film). I minorenni commetteranno un delitto orribile, imperdonabile e senza l'ombra di un ripensamento. Miike non è qui quello dell'incipit di Dead or Alive, del suo Ichi ma pensa un film quasi classico nella struttura, con una trama coerente e violenze solo fuori campo. Non usa l'esplicito ribrezzo e ci inganna tenendo nei binari una storia di una atrocità inaudita. La trama: Un modesto impiegato sta tornado a casa dopo una giornata di solito lavoro. Ha avvertito sua moglie che deve ancora percorrere i pochi chilometri in bici che separano la stazione dalla loro abitazione. Durante quel tragitto si imbatte in un pestaggio che alcuni minorenni stanno infliggendo ad un vecchio vagabondo. Quest'ultimo avrebbe avuto la peggio se Katayama (l'impiegato) non avesse deciso di intervenire e picchia quei poco più che bambini con tanta violenza da essere arrestato dalla polizia. I ragazzi non possono essere incriminati perché troppo giovani, ma non lo saranno abbastanza per non decidere di vendicarsi dell'uomo che li ha umiliati, e la loro vendetta ricadrà sulla piccola figlia del protagonista. I modi che useranno per arrivare al loro scopo feriranno i vostri occhi e i vostri cuori e non vi sarà difficile scoprirvi parte della rabbia di Katayama per quel che succederà. Non si può rimanere delusi dalla mancanza di ettolitri di sangue tipici dei film di Miike, non è, per chi ha imparato a godere delle sue opere, un tradimento o un voler arrivare a più pubblico possibile togliendo l'indigesto…sappiate che questo film è angosciante quanto e di più di tutta la filmografia del bravo cineasta giapponese. La morsa che lo stomaco subisce non è frutto di solite devastanti scene di sangue ma della perdita di orientamento che la vicenda "regalerà" a chi deciderà di godere del film. Un comune denominatore è certo presente e ci aiuta a riconoscere di quale regista stiamo parlano, è la totale mancanza di filtri che Miike usa nel suo girare. Non decide mai di falsare i contenuti…se un coltello per sua stessa natura squarcia deve vedersi squarcio e fare male. Il film pone molti interrogativi e , volutamente, nessuna risposta. Vi mette semplicemente davanti al problema e alla vostra sensibilità. Lo fa con tanta bravura che vi stupirete di sposare cause che non credevate vostre e a stringere i pugni per la rabbia che riuscirà a farvi sentire.

martedì 13 novembre 2012

Le avventure del ragazzo dal palo elettrico (S.Tsukamoto,1987)


Un giovane studente con un palo elettrico nella schiena e vampiri punk vestiti come i Kiss e che si spostano su skate-board senza ruote in un futuro apocalittico, è questo il film. Questo il film con quel titolo tanto strano che è il biglietto da visita di uno dei registi più peculiari del panorama nipponico degli ultimi 25anni. S.Tsukamoto nei 45min di Le avventure del ragazzo dal palo elettrico crea un gioiello di mediometraggio che lo aiuterà a guadagnarsi attenzione per quelle che saranno le sue opere più famose (Tetsuo per tutti). Velocissime inquadrature e un montaggio frenetico tengono il ritmo e l'interesse alto per l'intera durata del film. Risulta inutile ostinarsi a comprendere immediatamente la trama, molto più divertente è trovare il genio di Tsukamoto nelle sue trovate e percepire che nulla neanche il singolo frame è lasciato al caso. Uno sguardo allucinato, un gesto repentino e le assurdità di contorno confezionano un girato simile nella tecnica a quei telefilm giapponesi anni 70 con supereroi alla Megaloman, che avevano per noi europei quelle strane movenze e quei picchi di assurdo che ci piacevano tanto. La trama: Hikari è un ragazzo che subisce il bullismo dei suoi compagni che lo emarginano per una sua a dir poco stranezza fisica, ha un palo elettrico che esce dalla schiena (se non è fantasia questa). Viene teletrasportato 25 anni nel futuro e si ritroverà da subito e inconsapevolmente a combattere con una banda di vampiri punk chiamati Shinsegumi. Questi cattivoni stanno mettendo in pericolo la popolazione di Tokyo e toccherà a Hikari, al suo palo e ad alcuni altri personaggi salvare Tokyo e magari il mondo. Forse il nostro amato regista vuole nascondere insegnamenti e morali nel suo mini-film, forse la rivalsa del giovane palomunito, che da bersaglio di risa e scherno diventa il supereroe indispensabile, può essere vista paradossalmente una vicenda educativa, ma nessuno chiederebbe la logica e la morale ad una fiaba come questa, se logica e insegnamento esistono vengono percepite in un modo più subliminale che non banalmente esplicitato da sermoni e facili metafore. Tutto il film è colmo di un umorismo (son sicuro che esiste una parola giapponese più adatta a descrivere il concetto) particolare e certo alieno al nostro, ma anche questo aiuta al raggiungimento dello scopo...far diventare un oscuro wired-film un piccolo cult da ricordare.

domenica 11 novembre 2012

Il demone sotto la pelle (D.Cronenberg,1975)


Cronenberg alle prese con il suo vero primo film. Dove tutto è già presente, ogni ingrediente al suo posto…lo stile-Cronenberg ha raggiunto la maturità al primo colpo. Il repellente e il sesso, la metamorfosi e la mutazione dell'umano in un ibrido che strappa il primato della creazione alla natura stessa…l'uomo diventa dio e sterminatore di se stesso (che per il cineasta canadese sono la stessa identica cosa). Quel moderno condominio, fatalmente nominato L'Arca, descritto con quella voce fuori campo così esattamente "pubblicitaria", è uno degli incipit più horror nella storia del cinema. Quella ostentata normalità e pulizia di linee e ricchezza di cose è un preludio perfetto a quanto di più estremo e ripugnante accadrà ai condomini. Il consumismo sfacciato e classista infettato da animali immondi e devastatori. Un microcosmo indipendente metafora di una egoistica gabbia dorata atta a difesa delle proprie piccolezze…un mondo non solo da distruggere, ma da umiliare e smascherare nella sua ipocrisia. Ogni scena di fastidiosa normalità è farcita da incomprensibili stranezze, il montaggio netto e vorticoso passa da un soporifero dialogo a vermoni parassiti da brividi. Una versione americana e attualizzata del Wicher Man di Hardy. La trama: In una ridente e assolata isola Canadese viene costruito un enorme residence che promette ogni genere di comodità e, più di ogni altra cosa, la sicurezza e la lontananza dai problemi delle invivibili metropoli. Questo perfetto quadretto è la facciata per un evento delirante che accade tra le mura di quel magnifico palazzo. Un mediocre medico e professore universitario ha appena ucciso la sua giovane amante versando acido nelle sue viscere e togliendosi successivamente la vita. Capiremo che questo, quantomeno strano, gesto avrà una sua spiegazione nell'argomento delle ricerche del dottore e di un suo collega: inserire parassiti nelle viscere dell'uomo per far prendere loro il posto e la funzione di organi malati. Ovviamente questo sfuggirà dal controllo della scienza e questi vermoni invaderanno i corpi di chiunque abbia avuto un rapporto sessuale con gli infetti o semplicemente con il contatto diretto con l'animale. Il propagarsi dell'epidemia è ancor più veloce e inarrestabile in conseguenza del fatto che quei parassiti incidono fortemente sulle pulsioni sessuali, tanto da spingere gli infetti ad accoppiarsi. Un giovane dottore e la sua assistente cercheranno rimedio e cura a queste assurdità ma la loro lotta è impari e (forse) inutile. Il finale è quanto di più cronenberghiano si possa pensare, e questo per chi conosce il regista è già motivo di visione. Bisogna avere mente e corpo pronti a recepire il devastante filmare di Cronenberg, non si affrontano i suoi film senza averne letto ed essersi documentati a dovere. Tutto il rigetto del regista verso una società piatta e insensibile anche alla sua stessa autodistruzione viene esplicitato in quei corpi di zombi romeriani, a tratti anche divertenti, infetti che vivranno tra marionette di uomini che mantengono imperterriti le loro abitudini…automi meno umani degli stessi mostri affamati di sesso. Nessuno credo possa negare la malizia del caro David nel portare in scena anche "argomenti furbi" per fare botteghino..ora il sesso, ora una Barbara Steele che dopo streghe e vampiri deve vedersela con un vermone ninfomane, tutto partecipa a fare del suo film quella via di mezzo tra un serissimo attacco alla uniformatissima società nordamericana e alla ghettizzazione dell'individuo fuori-schema e un horror classico. Inutile schierarsi tra chi ama o odia Cronenberg…i suoi film sono li, si possono vedere (chi avrà fegato e curiosità), possono dirvi tutto o nulla, marcare una vostra fobia e risvegliare le vostre perplessità su come gira questo mondo o semplicemente farvi inorridire, ma indifferenti mai…non è mai successo e mai potrà succedere...sorprendente è sinonimo esatto di Cronenberg.


giovedì 8 novembre 2012

Sepolto vivo (R.Corman,1962)


Uno dei film che Corman gira con nella mente i racconti di Poe. Solo il punto di partenza per una liberissima e personale interpretazione. Il gotico dello scrittore statunitense è fatto per essere letto, provare a riportarne fedelmente le sensazioni dalla carte alla pellicola sarebbe stato arduo e molto stupido. Non si tratta di paura e terrore, qui e nel libro si affrontano le fobie..e una in particolare: la morte apparente e la conseguente sepoltura da vivi. Per dirla come nel film: è il timore di spegnersi come una candela in una stanza buia venendo a mancare ossigeno e vita. Poco credibile la ricostruzione dei vari set, quasi fumettistica e così marcatamente "finta" da sembrare non degna. Eppure quelle ragnatele improbabili, quei pipistrelli-marionette e quella perenne nebbia senza misura rendono il girato una messinscena a tratti teatrale più che filmica. Cartonati bidimensionali, quinte poveramente dipinte…questo apparente errore dona al film quel qualcosa di fantastico e onirico che ne rende piacevole la visione. La trama: Guy è un dottore, con un pensiero..un ossessione quasi invalidante: la fobia di essere un giorno sepolto vivo. Destino vuole che nel riesumare un corpo veda con i suoi occhi il risultato delle sue paure, una bara graffiata e insanguinata e la smorfia di un uomo evidentemente ucciso dall'angoscia della sua condizione di "prematura sepoltura". Non riesce a distoglierlo l'amore che Emily sente per lui,la sposerà ma non andrà bene…vuole vincere quell'inquietudine che lo pervade con uno stratagemma, costruire una tomba da dove si possa fuggire…anzi, dove si possa vivere. Evidentemente la peggior tomba è la mente stessa dell'uomo, nessun marchingegno può aprire quella bara che ben bene ci inchiodiamo addosso…ma non è poi così profondo l'intento del film…Corman vuole un film ben recitato (e la presenza di Milland lo aiuta non poco) e abbastanza intrigante da portare al cinema più pubblico possibile. Merita una visione…qualche bel colpo di scena e un buon finale.

lunedì 5 novembre 2012

La morte corre sul fiume (C.Laughton,1955)


La puritana America di provincia durante la grande depressione è il palcoscenico di questo racconto noir di rara bellezza. Girato con evidentissimi rimandi espressionisti e portatore di quel mood e quelle ombre lunghe che Lang usò da maestro per il suo M. Film quest'ultimo che viene richiamato anche per il tema e per la contrapposizione della massa all'individuo. Rimane (La morte corre sul fiume) primo e unico film di un regista che, visto questo, avrebbe potuto dire molto. C. Laughton non divenne un cineasta famoso ma fu attore celebre e apprezzato da molti. Hitchcock per il suo Caso Paradine e un Oscar nel '34 ne provano la bravura. La trama: Harry Powell è un assassino e ladro che percorre le polverose strade dell'Ohio nei primi 30anni del secolo scorso. Si spaccia per pastore/predicatore e con questo travestimento ottiene stima e facile fiducia dalle persone che conosce. Ha incontrato in prigione un uomo condannato a morte per omicidio e che imprudentemente rivela lui di aver nascosto nella casa dove viveva con la moglie e i suoi due figli il malloppo della rapina commessa. Powell esce di galera e si reca fatalmente dove potrà mettere le mani su quei soldi. Avuta la fiducia della moglie del suo compagno di cella e dei gretti compaesani di questa arriverà a sposarla. Terrorizzerà i due fanciulli, che sanno dove il denaro è realmente nascosto, e dopo aver ucciso la loro madre li inseguirà lungo il fiume Ohio…La riuscita figura del predicatore/assassino ha le caratteristiche di icona eterna del cinema. Le sue mani tatuate e lo sguardo di un Robert Mitchum in stato di grazia reggono il confronto con il Lorre di Lang e donano al film una modernità che supera probabilmente anche le stesse intenzioni del regista. Ombre nerissime quanto l'animo del protagonista e canti religiosi accompagnano un road-movie particolarissimo, tanto noir da essere citato tra i migliori del genere, tanto thriller da essere esempio da scuola, ma che in verità deve la sua fortuna nell'essere una singolarità fuori dai generi e canoni classici…caratteristica quasi ma replicata in altri film. Laughton crea un personaggio di una cattiveria estrema e quasi schiavo del suo stesso esserlo, senza possibilità di scelta…cattivo, crudele e basta. Sembra invece puntare molto di più il dito e le colpe verso una massa ipocrita e, gravissimo, cieca per scelta e complice, con quella sola voglia di tranquillità che rischia spesso di essere vigliacca e pericolosa. Facile trovare nella biografia del regista dei rimandi a questa condizione. La sua omosessualità vera o presunta rappresentò un peso e quasi un'accusa che non riuscì mai a togliere dalla mente di critici e bigotti colleghi. Si sfogò trattando, nel suo film, quei piccoli uomini e donne del paese (metafora della massa bue e non pensante) come fossero un male peggiore anche dell'omicidio stesso. La loro beota tendenza a seguire ciecamente un capo e le sue parole è, per il regista britannico, una colpa imperdonabile e massima. Cura, di conseguenza,  le figure di alcuni singoli, la signora Cooper per tutti, identificando nella loro "individualità" la sola speranza possibile. Tecnicamente il film risulta di una modernità sconcertante. Scene bidimensionali e richiami a Wiene non volutamente nascosti, ma ostentati e perfettamente funzionali al racconto. Moltissimi frame sono nella memoria di tutti, anche di chi il film non l'ha mai visto e questo a prova della sua bellezza vera.  Tutto scorre nel film, i personaggi si spostano lungo quel fiume che sembra una perfetta metafora di quella linea  della vita da percorrere tutti inevitabilmente, ma con la possibilità di guadagnare, per i più capaci e forti, la riva e fermare quello scorrere fatale. Di godere di aver scelto quel fermarsi o quell'andar via dal "vivere e sentire comune" come una sacrosanta testimonianza di una individualità necessaria.

venerdì 2 novembre 2012

La piccola bottega degli orrori (R.Corman,1960)


Un film per scommessa. Quando Corman ebbe per le mani la sceneggiatura di Griffith fece con questo una scommessa strana quanto l'argomento del film in questione. Mise sul tavolo qualche centinaio di dollari e scommise di terminare le riprese del film in meno di 3 giorni (!!). Come andò a finire? Tutto era pronto e finito dopo 2 giorni e poche ore. L'atteggiamento irridente di Corman verso le mastodontiche produzioni di Hollywood aveva con questo raggiunto l'apice. Un film fatto con niente e con tanto (solita per Corman) fiuto/fortuna nella scelta del cast..qui troviamo un 20enne Jack Nicholson, ancora attore quasi della domenica. Ovviamente non è un film dove la recitazione faccia onore alla "settima arte", quasi da teatrino parrocchiale per la maggior parte degli attori e troppe scene lasciate al caso…ma c'era una scommessa da vincere. Il genere, (poco frequentato fino a quel momento) la commedia-horror, ha indubbiamente aiutato tanta "fretta" del regista, dialoghi brevi e praticamente nessuna attenzione a luci e fotografia. Campioni di questo particolarissimo genere saranno: Frankestein Junior (1974) e quella culto-stranezza del The rocky horror picture show (1973). La trama: In uno scalcinato negozio di fiori, in un quartiere periferico e malfamato, un commesso sta per essere licenziato dal suo datore di lavoro per una predisposizione al disastro che lo porta a screditare la già inesistente reputazione del negozio. Evita di essere licenziato portando al negozio una stranissima piantina che accudiva nella casa dove vive con la madre. La pianta è strana, bruttina e refrattaria a tutti i fertilizzanti e trucchi da fioraio….quella pianta, capirà Seymour il commesso, si nutre di sangue umano. Diventerà l'attrazione del negozio e gli affari andranno benissimo. Per questo Seymour otterrà fama e un premio dall'Associazione degli studiosi dei fiori silenziosi e soprattutto l'amore della bella Audrey, assistente nel negozio, amata da sempre e alla quale aveva dedicato la sua piantina chiamandola Audrey Junior. La pianta cresce ma ha bisogno di nutrimento e la soluzione sarà trovare per lei sangue e quindi vittime sacrificali. La situazione diventerà incontrollabile…Dicevamo che l'aspetto tecnico del film è cosa da dimenticare senza esitazione. Non funziona il montaggio, non funziona quasi nulla a parte la genialità del nostro Corman. Scary Movie e tutta la saga coccolano ancora oggi gli spettatori che amano la commedia-horror e portano nelle tasche dei produttori milioni di dollari, ma la "piantina" di Corman ha iniziato quel genere e merita d'essere ricordato anche senza essere "memorabile". Nicholson mostra già al mondo quello sguardo da pazzo che sarà la sua fortuna e il suo ruolo nel film è conseguente a questo suo talento…è un becchino masochista. Non questo film ma le opere tratte dagli scritti di Poe saranno la fortuna di Roger Corman, uno che ha smontato spesso quell'aurea di santità che registi autoreferenziali avevano (ieri come oggi) per aver prodotto al massimo accozzaglie di effetti speciali e poco altro. Il film è arrivato in Italia dopo 25 anni, grazie alla presenza di Nicholson divenuto ormai attore famoso. Ha avuto un remake nel 1986 e un famoso musical.



martedì 30 ottobre 2012

M.Butterfly (D.Cronenberg,1993)

Il diavolo bianco imperialista, una presunta superiorità nei confronti di una cultura che sentiamo lontana e ancor più "distante". Il tema del film di Cronenberg è questo e non solo questo. Affronterà soprattutto l'amore assoluto che può catturare un uomo fino a farlo sublimare dalla sua stesa essenza di uomo, la dedizione verso la perfezione di un rapporto con un altro essere umano, l'idealizzare l'altro tanto da diventarlo. La trama: Un magnifico Iron è un contabile dell'ambasciata francese nella Cina dei primi anni 60, poco prima e durante la Grande rivoluzione culturale. Vive con le sue insicurezze una vita tutto sommato monotona e piatta. Distanti culturalmente da quel paese e convinti di poterne gestire l'avvenire politico sono tutti i suoi occidentalissimi colleghi e lui pare seguirne, senza troppa convinzione, le stesse idee. Durante una rappresentazione teatrale, la Madama Butterfly, conosce una cantante lirica...una donna dal fascino misterioso, che parla direttamente ai suoi sensi e lo stordisce con i suoi modi leggeri e parole sussurrate e pensieri antichi. Diventerà la sua ossessione, vivrà per vederla e toccarla o meglio sfiorarla appena, tanto quanto basterà a sfamare quella possessione dei sensi che ormai lo pervade. Tanto idillio si scontra con il vero intento e missione della donna...carpire informazioni per lo spionaggio cinese. Renè (Iron) tornerà in Francia per il cattivo lavoro svolto nell'ambasciata e dopo alcuni anni rivedrà la sua Butterfly a Parigi. La donna lo aveva da tempo convinto di aver avuto un figlio da lui. Ma il destino del nostro Renè è un processo per alto tradimento e sconvolgenti (forse) scoperte sulla sua amata Butterfly. Cronenberg sembra abbandonare, per un film quasi classico, le sue visionarie scene alla Videodrome. Apparentemente cuce un racconto (incredibilmente tratto da una storia vera) dove non viene richiesto quel solito sforzo mentale e fisico che accompagna i suoi famigerati lavori...ma non mancherà di lasciare segni e firme del suo genio. L'ambiguità è il sottotitolo di ogni scena del film...ambigua è la donna, ambigua la sua cultura. Questo inizialmente attirerà quel "diavolo bianco", l'attrazione verso l'esotico è vecchia storia...ma poi, passo dopo passo l'ambiguità si confonderà con la falsità. Il creduto diventerà inganno, l'evidente un miraggio. La stessa ipocrisia imperialista che risulta nella malcelata accettazione dell'altro, esemplificata dalle mura di un'ambasciata straniera spesso intesa solo fortino a difesa di diversità, diventerà ostacolo insormontabile quando il finale e il vero saranno nudi davanti agli occhi del protagonista...lui vuole che il suo mondo rimanga il mondo pensato e sperato, è salito ormai a vedere il più bello degli amori possibili e non riesce a volgere verso il basso lo sguardo e tantomeno a tornare indietro. La soluzione è il sacrificio, è Isacco immolato per un amore più grande...come fosse la morte quel varco da passare per non rimanere solamente e semplicemente uomini.

lunedì 29 ottobre 2012

Begotten (E. Elias Merhige,1991)


Chi si appresta alla visione di un film ha, quasi sempre, letto accenni di trama o quantomeno si è informato sul regista e sul genere. Dovessimo fare questo per il film in questione (Begotten) sapremo che il regista è Merhige che ha girato "L'ombra del vampiro" (con poco piacere di appassionati del Conte e di Murnau) ma bisognerebbe poi faticare per conoscere e ancor più per comprendere la trama di questo suo lavoro…strano lavoro. Partiamo addirittura dalla difficoltà di definire Begotten un film…se così chiamiamo un opera con immagini in movimento e una trama coerente da poterla raccontare e recensire. Begotten, se questa è la vostra idea di un film, non è un film. L'amore (lo stesso di chi scrive) dimostrato da Merhige per l'espressionismo tedesco degli anni '20 lo ha aiutato a dare a questa sua controversa opera un'impronta precisa che si richiama a quei meravigliosi film. Ogni singolo frame è lavorato in post-produzione e fatto diventare simile a quei fotogrammi che hanno reso eterne opere come "Il Dottor Mabuse" o "Il gabinetto del dottor Caligari" o lo stesso "Nosferatu". Non c'è traccia di parlato e quel che accompagna le immagini risulta essere ora vento, ora sinistri cigolii o grugniti animaleschi o un ipnotico frinire. E se questo vi è sembrato strano..sentirete ora la trama. Trama (?!), meglio sarebbe dire sequenza di immagini, di quadri apparentemente slegati tra loro…oscuri, drammatici e decisamente poco digeribili. La trama: Nei primi minuti del film vedremo un personaggio con una maschera spaventosa torcersi dal dolore e che si ucciderà con il rasoio che tiene stretto nella sua mano destra. Dal sangue e dal corpo di questa creatura nascerà una donna che prenderà il seme del cadavere e ne rimarrà incinta. (sentito mai qualcosa di più strano?) Questa donna e il suo malato figlio verranno trucidati da un gruppo di incappucciati che li lacererà nelle carni e li farà morire nel dolore più grande. Vi chiederete ora: Cosa diavolo vorrà mai dire tutto questo? E se mai ci fosse una logica, perché forzarsi a vedere tanta assurdità di film? Una logica esiste e ci verrà data delle didascalie finali che chiariranno i ruoli e il susseguirsi delle scene. Capiremo di aver visto Dio, la lotta dell'uomo con la religione e ci stupiremo che la volontà vera del regista fosse darci una sua particolarissima e non poco blasfema visione della Genesi. Non un film,quindi, da godersi con uno stato d'animo sereno e leggero, ma un'esperienza visiva disturbante e a tratti terrificante. Ha la stessa drammaticità di un incubo ripetuto, la stessa attrazione del guardare il fondo di un pozzo profondissimo. Interpretiamo quelle sporchissime immagini come per dar senso a delle ombre informi…tanto da dar loro le sembianze dei nostri stessi incubi e delle nostre personali paure. Film di difficilissima e pericolosa gestione…contorce le idee e ancor più l'intestino. L'arte a volte, e questo è il caso, è sporca e dolorosa, ma se si avrà la forza di terminare la visione sarà una di quelle esperienze che aiuteranno a portare la pietra di confine della nostra consapevolezza un metro più avanti.

venerdì 26 ottobre 2012

Pagine dal libro di Satana (C.T.Dreyer,1920)

Dreyer era odiato da tutti sul set...non ammetteva repliche e niente meno della perfezione. Il cinema era una missione sacra. La sua Giovanna D'Arco non poteva essere che il miglior film sull'argomento e cosi gli altri suoi lavori. Quest'atteggiamento lo tenne ai margini di un mondo dorato di premi e red carpet che, a dire il vero, non sentiva comunque appartenergli. Ma la fama eterna e gli allori non possono prescindere dalla notorietà, e rimase, per sua scelta, un regista per pochissimi. Questo relativo successo arrivò alla fine dei '20. Prima nulla o quasi nulla si sapeva di Dreyer, prima della sua "Giovanna". Pagine dal libro di satana è uno di quei film/esperimento dove il giovane regista danese, con tutto il suo bagaglio di insegnamenti luterani, si confrontò con la fede e qui in particolare con il male e satana in "persona". La trama: Satana, maledetto da dio, è condannato con sembianze da uomo ad indurre l'umanità al peccato. Dio allungherà la pena al suo "angelo prediletto" se gli uomini non resisteranno alle sue tentazioni, al contrario verrà diminuita per ogni uomo capace di resistergli. Il primo dei quattro episodi in cui è diviso il film (uno per ogni epoca dove satana compirà il suo malvagio intento) è ambientato nei giorni immediatamente precedenti la crocefissione di Cristo. Satana vestito da fariseo aizzerà i sacerdoti a condannare il cristo. Meriterebbe pagine di recensione la sola figura di Giuda, perfetta nello sguardo e capace di trasmetterci immediatamente i pensieri e le convinzioni del regista. Nel secondo atto ci ritroviamo nel XVII secolo, dove la crudele inquisizione spagnola era potentissima e dolore e tortura erano quotidianità. Il nobile Don Gomez era uno studioso di astronomia e sua figlia Isabella di matematica e storia con il monaco Don Fernandez. La ragazza è da tempo nei pensieri del dotto monaco. Questa volta gli occhi di satana li ritroveremo nel Grande Inquisitore che spinge il monaco ad entrare a far parte della stessa Inquisizione, vantandone l'onnipotenza. Il frate accetterà accecato dalla gelosia per il Conte Manuel, amato dalla ragazza. L'infedele servo di Don Gomez lo denuncia per eresia e sarà compito di Don Fernandez arrestare e quindi far giustiziare lui e  sua figlia. Il male ha vinto di nuovo. Terzo atto, Parigi 1793. Sta per essere ghigliottinata la regina Maria Antonietta. Il conte di Chambord, come molti atri, seguirà la stessa sorte del re e della regina, giustiziato sul posto. Satana questa volta è nei panni di un ex servitore del conte, ora rivoluzionario giacobino. Si accorge della fuga della moglie e della figlia del conte con la complicità di un loro domestico, questi verrà indotto dal diavolo ad unirsi a loro giacobini e a pretendere con il ricatto la giovane figlia del conte come sua sposa. Le tradirà vigliaccamente quando verranno condotte davanti al tribunale del popolo...e Satana avrà ancora dimostrato il suo potere sull'uomo. Quarto ed ultimo atto, Finlandia 1918. Gli ideali dei rivoluzionari russi varcano il confine e nel piccolo paese di Hirola si svolge un dramma familiare. Una giovane donna (Siri) e suo marito devono subire il ricatto di un parente innamorato della ragazza. Minaccia di denunciare l'uomo, che aiuta i "bianchi", ai filo-russi. In Finlandia è piena guerra civile e Satana, con le sembianze di un monaco filo-russo (molto somigliante a Rasputin) vuole costringere Siri, ora telegrafista per i "Bianchi" a mandare loro un messaggio che li attirerà in una imboscata, se non lo farà sarà la sua famiglia a subirne le conseguenze. Siri si rifiuta e muore per difendere ideali e patria. Satana, secondo i patti, dovrebbe ora vedere ridotta la sua pena...ma il male non può non essere dove ci sono gli uomini. Trama complessa e film difficile da seguire. E' un perfetto esempio di come dovrebbero essere costruite le scene, le inquadrature e i personaggi. Dreyer è fortemente influenzato dalla sua religiosità e dalle sue idee conservatrici, sembra quasi voler girare un inconsapevole film di regime e alcune scelte, una per tutti il suo dipingere eroica la figura di Maria Antonietta, risultano a tratti fastidiose. Ma, tolto questo, non possiamo non rimanere stupefatti da come nel 1920 un quasi autodidatta cineasta sia riuscito a creare tanto perfetto cinema. Vuole e ottiene epici i suoi fotogrammi e i volti dei suoi attori. I film che seguiranno nella filmografia del regista danese sono di gran lunga migliori di questo...ma in quei primi anni 20, per la sua modernità e perfezione, Pagine dal libro di Satana deve esser sembrato a tutti un'opera partorita dallo stesso demonio protagonista del film.

giovedì 25 ottobre 2012

I guerrieri della notte (W.Hill,1979)


Come dicono le didascalie dei primi quadri del film…"Un giorno nel futuro…" Sono infatti gli anni 70 ma è anche un futuro prossimo e possibile. Un futuro di bande, di capi e di lotte. La trama: Gli Orphans, i Baseball Furies, I Warriors e cento altre ancora…tutte le gang di New York si riuniscono in quella che è da tutti considerata la pacifica fine delle ostilità, e questo per la presenza di un carismatico e stimato capo della più potente di quelle bande...il suo nome è Cyrus. Le sue intenzioni sono chiare, loro sono uniti 60000 e la città può contare al massimo 20000 elmetti (polizia), la città deve diventare loro, uniti e fortissimi. Incolpa il potere costituito di averli divisi per renderli deboli, di spingerli a combattersi per lasciare le mani libere per rubare legalmente e abusare del potere a ipocriti e corrotti politici. Durante la riunione Cyrus viene ucciso e accusato ingiustamente è un membro dei Warriors…Inizierà una caccia all'uomo memorabile e quasi insuperata nella storia del cinema americano. Il campo di battaglia sarà la sconfinata metro di NY…il ritorno verso la loro Coney Island sarà per i Warriors un lottare per la vita. Tappa dopo tappa il viaggio della salvezza diventa sempre più pericoloso. La calda e sensuale voce di Dolly alla radio scandisce il progredire dei fatti e suona meravigliosa musica anni '70. I ragazzi si divideranno e il loro futuro diventa incerto…e forse molto breve. Hill girà un film famoso e bello quanto Arancia Meccanica e Easy Rider, meno individualista ma colmo di una voglia di libertà forse non palese come due motociclisti verso l'orizzonte ma quei cuccioli della società in quella giungla di asfalto non saranno da meno di Fonda e Hopper. Tutto il film si svolge in poche ore, una notte di violenza prima di quell'alba a Coney Island. Personaggi principali si alternano a non meno riusciti "non protagonisti". Colonna sonora tra le migliori e senso della tensione perfetto. I guerrieri della notte è quasi una summa di generi, il western di Ford, gli zombie di Romero e un musical metropolitano alla Grease. Ovviamente il film venne accusato al tempo di istigare alla violenza, e non mi stupirei di sentirne ancora oggi, dopo più di 30anni, parlare nello stesso modo. Rimane invece un classico da rivedere, lasciandosi sempre meravigliare da quella ingenua ma schietta forza espressiva che lo caratterizza.