lunedì 10 dicembre 2012

Reazione a catena (M.Bava,1971)


Undici omicidi (11), non commessi da un unico serial killer da scoprire sul finale della storia, ma una catena di barbare uccisioni con tanti colpevoli e un solo scopo. Tutti vogliono mettere le mani su un angolo di natura ancora selvaggio e splendidamente poco abitato. Bava sembra scherzare con lo spettatore, dimostrando ancora una volta una maestria nella costruzione delle scene che è stata scuola per tanti, più o meno celebri, registi d'oltreoceano e nostrani. Vista la locandina si potrebbe credere di doversi sorbire la visione di ettolitri di sangue o disgustose scene da macellaio…e queste non certo mancano nel film, ma il maestro Bava riesce a renderle quasi un irreale fumetto, colpiscono per la trovata geniale/assurda (si veda per tutte l'omicidio della coppia di amanti) e non per il loro realismo evidentemente mancante. In un lussuoso salone di una villa si compie l'omicidio di una anziana contessa, impiccata da un uomo che non faremo in tempo ad intravedere che sarà esso stesso vittima di uno sconosciuto. L'eredità della donna comprende la proprietà di una piccola baia e alcune rare costruzioni, è una forte attrazione per la natura rigogliosa ma ancor più per le sue potenzialità edilizie. Eredi, sciacalli e chiunque abbia un minimo di possibilità di venire in possesso di quel bene verrà a far parte di una vorticosa serie di omicidi. Moriranno gli innocenti, moriranno i colpevoli e, come in una versione sanguinolenta dei Dieci piccoli indiani, uno ad uno verrano eliminati i possibili indiziati. Un finale sorprendente e bizzarro spiazzerà chi guarda e magari regalerà un sorriso d'approvazione. In questo è la chiave della "poetica " del regista. Come nel suo bel film I tre volti della paura Bava inventa uno di quei finali che mai ti aspetteresti, che nessuno se non il coraggioso Bava avrebbe l'ardire di montare in coda a un film come questo…horror classici con canoni precisi e che, oggi come allora, si prendono maledettamente sul serio, dimenticando il loro essere film e quindi intrattenimento per definizione…e nulla altro. In questo esiste quel divertirsi del nostro regista, non è sua intenzione spiazzare per poco rispetto ma per dare al suo lavoro una firma riconoscibile e, prima di ogni cosa, far partecipe chi visiona i suoi film di un mondo fatato come quello del cinema…togliere quel velo di serietà o far respirare l'aria del set (come in I tre volti della paura) diventa uno stratagemma perfetto per accattivarsi in modo bonario le grazie e la stima di spettatori e colleghi. Musiche del solito (per l'epoca) Cipriani, che incoronano la parte iniziale e il finale del film con un incedere epico che sembra urtare con il tema e le immagini, ma che scopriremo essere perfette nella loro originalità. Famoso il trailer (qui di seguito) che si autocensurò usando colori iperpsichedelici a camuffare le scene di sangue e i nudi.