domenica 16 agosto 2015

Stigmate (R.Wainwright,1999)

Il film segue la storia di Frankie, parrucchiera di Pittsburgh che dopo aver ricevuto in dono dalla madre un rosario incomincia a presentare i segni delle Stigmate di Gesù Cristo. Padre Andrew Kiernan è un ex scienziato ora prete gesuita. Come parte della Congregazione per le Cause dei Santi investiga per il Vaticano sulla veridicitá dei vari miracoli che vengono acclamati in giro per il mondo. Kiernan, al culmine delle indagini, scopre che le stigmate derivano dallo spirito di padre Paulo Alameida (al quale apparteneva il rosario). Questo era stato scomunicato per non aver interrotto la traduzione e successivamente rubato i manoscritti di un Vangelo (apocrifo) contenente verità che andavano a minare l´autorità della Chiesa stessa in quanto istituzione. Quando il cardinale Daniel Houseman, un uomo di potere al Vaticano, per paura che il tutto torni a galla, cerca di uccidere Frankie, Kiernan reagisce...
Piccola eccezione alle linee guida del blog. Stigmate è, a tutti gli effetti, un film non così lontano nel tempo (1999) da poter essere considerato un classico tra gli horror, ne tantomeno un horror nel vero senso del termine. Magari sarebbe da considerare più affine ad un thriller "di consapevolezza", affine per tematiche e ambientazioni al Codice da Vinci, ma guardandolo senza i filtri del "catalogatore di generi" scopriremo singolarità e belle sorprese. La storia risulta banale, a mio avviso, solo per averla dovuta "ingabbiare" nelle due ore scarse di durata del girato. Avrebbe meritato più attenzione e, dosandone gli sviluppi, sarebbe potuto essere un buon soggetto per una mini-serie, magari per poi diventare una di quelle citate e ricordate. Buona la regia e ottima la prova dei protagonisti. Un girato dal ritmo vorticoso e "pubblicitario" che fortunatamente non ricorre ad eccessivi effetti speciali, ma crea tensione, angoscia e curiosità con la sapiente fotografia, una musica ispirata e una sceneggiatura splendidamente risolta. Sarebbe sbagliato etichettare il film come uno dei tanti figli minori de L'Esorcista di Friedkin e, a dire il vero, altrettanto sbagliato sarebbe parlarne come di un capolavoro...ma per quelli, come chi scrive, a cui piace assaporare le sensazioni che la visione di un film regala, Stigmate troverà il modo di insinuarsi in quel profondo e poco spiegabile spazio che va oltre le considerazioni tecniche, le mode o il parere comune...a volte si gode di un film senza doverne soppesare persino la bellezza oggettiva, piace e basta.
Anticlericale o meglio sarebbe dire, antiistituzionale. Che strizza l'occhio ai patiti dei complotti e ai delusi da una chiesa dogmatica e aliena. Film sottovalutato e senza dubbio da consigliare. Non si vive di soli capolavori...

domenica 12 luglio 2015

Inferno (D.Argento,1980)

Rose e suo fratello Mark vivono rispettivamente a New York e Roma. Un giorno Rose compra un vecchio libro da un antiquario, un libro che parla delle tre madri per cui l'architetto Varelli avrebbe costruito tre dimore: a New York, a Friburgo e a Roma. Dopo aver letto il libro, Rose si convince che negli scantinati del suo palazzo ci sia la dimora di una delle tre donne. Questa scoperta le costerà la vita. Sarà il fratello Mark a fare luce sul mistero.
Argento alla ricerca di sensazioni forti. Nulla di più lontano dallo svolgimento classico di un film. Storia che non abbisognerebbe certo di quasi due ore per essere raccontata e personaggi (e attori) che risultano ben poca cosa se paragonati alle riuscite scenografie e alla tecnica e all'intuito del Dario nazionale. Quanto la volontà nel voler colpire lo spettatore sia il vero intento di Argento lo avvertiamo in una delle migliori scene di tutto il film. Rose, nelle prime parti del girato, scende in uno scantinato, allagato completamente, per riprendere il suo prezioso portachiavi. I colori sono saturi e primari (come il maestro Bava aveva insegnato al mondo) e l'acqua diventa, nella mente di chi guarda, una melma opprimente, una delle tante rappresentazioni di quello che è il vero protagonista del film...il Male. Tra suggestioni verdiane e le tastiere "progressive" di Keith Emerson le sansazioni scorrono senza un filo veramente logico, ci si perde nella trama effimera del film come ci si perderebbe correndo senza metà in un bosco di notte. Esercizio di stile e di regia ed evidente omaggio al maestro Bava, che certamente visionò e "corresse" alcuni passaggi. Argento si crogiola nella sua tecnica e nella rappresentazione della sua bravura e delle sue paure. Ormai, dopo i successi precedenti, deve dimostrare poco o nulla al suo fedele pubblico. Ora li prende per mano facendo vedere loro il suo personale paese dei balocchi...colmo di luci innaturali e angoscia. Abbandonando, quindi, gli stereotipi che ci vincolano nel giudicare un film, tralasciando la coerenza della storia o degli stessi dialoghi...lasciando tutto questo, non possiamo non farci trasportare da tanta potenza visiva e dal fascino ipnotico di alcune trovate registiche. Errori nella costruzioni degli effetti speciali, alcuni assolutamente inguardabili, ci sono e non sono pochi. Così come quando lo splatter vuol essere "reale" l'unico risultato che ottiene è quello di sfiorare il ridicolo (vedi il coltello nella gola di Lava). Magari da tanta ostentazione di "gotico" e poi di "barocco" in tutto il film ci si aspetterebbe un finale più all'altezza (e invece è una delle scene meno riuscite, con tanto di scheletro da luna-park). Ma se è vero, come è vero, che di un film si ricorderanno, finita la visione, più le sansazioni avute che la storia stessa...allora Inferno ha il suo bel posticino in alto nelle classifiche dei film horror nostrani. Le pennellate di angoscia e bravura che il regista compone in ordine sparso rimagono indelebili nella mente dell'appassionato e lasciano tanto, tantissimo rimpianto per quello che diventerà la filmografia argentiana nei decenni a venire. I corridoi di una biblioteca o le scale di un sotterraneo diventano le viscere di un fantastico palazzo maledetto (come ci dice lo stesso Varelli nel film) che Argento cerca tra New York e Roma ma che, capiamo bene, esistere solo nella sua mente inquieta. Un luogo non luogo, dove le visioni delle sue personali paure cercano di rappresentarsi a noi con personaggi e location reali, ma non riescono mai, per loro stessa natura, a rendercele fino in fondo. Inferno è una gioia per gli occhi di chi, come il regista, ama perdersi tra quello che da sempre è il motivo stesso della settima arte: non certo il portare sul grande schermo una mera rappresentazione del reale ma il dare corpo di pellicola ai sogni e agli incubi personali. Questo è, in fondo, quello che dovremmo aspettarci da tutti i film di genere e da un horror particolarmente...questo sapeva Bava, questo aveva capito Argento e l'aver tradito questa "legge" è il motivo stesso dell'attuale pochezza delle nostre produzioni di genere.

lunedì 18 maggio 2015

Ballata Macabra - Burnt Offerings (D.Curtis,1976)

Ben, assieme alla moglie Marian, al figlio David ed all'anziana zia Elizabeth, prende in affitto una casa in campagna per passarvi le vacanze. L'abitazione di epoca vittoriana è bellissima, ma allo stesso tempo antiquata e malmessa. Dato il prezzo di favore, la famiglia accetta l'offerta. Presto la magione farà sentire la sua influenza maligna sull'intera famiglia.
Dopo un inizio alla Shining o meglio, per dire più correttamente, dopo essersi resi conto che sarà sorprendentemente il capolavoro di Kubrick ad iniziare, 4 anni dopo, come questo film di Curtis, passiamo ad una prima parte più descrittiva che avvincente. Poi il ritmo e la tensione prendono vorticosamente a crescere e ancora tante saranno, vedremo,  le "citazioni" che Kubrick "ruberà" da Ballata Macabra. Come anche le stesse di questo film saranno le atmosfere che ritroveremo in Amityville Horror nel 1979. Dicevamo di una prima parte descrittiva, questo perchè c'è da prendere confidenza con la casa, una delle tante, direte voi, case diaboliche e infestate che hanno occupato gli horror dei '70...ma, abbandonati preconcetti e tracotanza, ci ritroveremo a godere di un film non poi così banale e con una sua precisa personalità. Non è certo un caso il fatto che quest'opera sia tra le preferite di un "addetto ai lavori" come Dario Argento. Conosciamo Miriam e Ben che a loro volta fanno la conoscenza dei bizzarri proprietari della casa che si accingono ad affittare per l'estate. La bella dimora storica sorge tra boschi meravigliosi e non potrebbe essere che la scelta giusta per la famigliola di città in cerca di pace e tranquillità. La pace e prima ancora la tranquillità saranno le ultime cose che quel luogo offrirà loro... Il racconto si fa più cupo e su tutto aleggia una soffocante sensazione di pericolosità imminente. Oltre alla cura della casa la nostra famiglia dovrà accudire l'anziana madre dei due proprietari. La donna vive in assoluta solitudine nelle sue camere all'ultimo piano. In particolare alla bella Miriam è dovuto il compito di prepararle il pranzo e per tutti vale l'ordine di non distrurbare il riposo della signora. La casa cambierà ben presto il carattere dei protagonisti e quello che era un bel quadretto familiare si tramuterà in una lotta per la sopravvivenza. Incubi notturni e un'aria ormai diventata malsana rendono lo svolgere del film interessante e ormai definitivamente virato all'horror. Nulla accade di concretamente terrificante, nulla si manifesta e questa assenza del male reale, ma ugualmente palpabile, è la forza stessa del film. Senza far vedere si porta all'inquietudine chi guarda e, senza alcun dubbio, è questa una delle migliori idee di chi ha sceneggiato l'opera. La recitazione non è memorabile e nessuno, escludendo per manifesta superiorità la sola Bette Davis, aggiunge nulla al film. Gli attori son ben diretti e buono il lavoro dell'esperto Curtis. Il girato risulta godibile e, in crescendo, si arriva a livelli di pochi film del genere. Finale magari un pò prevedibile per i più svezzati al genere, ma che non rovina nel complesso il buon lavoro fatto. Un film sempre troppo poco citato, ma che merita di essere ricordato e visto come uno dei migliori esempi di quell'horror che basa la sua forza più sul turbare e angosciare, sul coccolare le fobie dello spettatore più che spaventarlo con effettacci e facili paure degne solo di un tunnel degli orrori di un Luna-park di periferia. 



sabato 4 aprile 2015

Shock: Transfert, Suspence e Hypnos (M.Bava,1977)

Dora, insieme al figlio Marco e al nuovo compagno Bruno, torna nella casa dove abitava con Carlo, il marito, morto suicida. La tragica morte del coniuge ha sconvolto la donna, gettandola nella depressione, ma adesso, dopo un periodo di analisi e con un nuovo amore, sembra aver trovato la forza di riaffrontare quel luogo carico di ricordi spiacevoli. Bruno, pilota d’aerei, deve però star via per lavoro. Pessima scelta, perché il piccolo Marco inizia a manifestare la pericolosa “personalità” del padre…
Ultimo film di sua maestà Mario Bava. Per alcuni versi lontanissimo dai suoi classici ma così tanto farcito di “cose” baviane da farsi assolutamente amare dai cultori del regista sanremese quasi quanto i suoi titoli migliori. Quello che manca al film sono le psichedelie, le colorazioni fiabesche che tanto resero Bava peculiare. Qui il girato è crudo e realistico, è, come scopriranno critici e pubblico solo nel 2006, vicino a quel capolavoro inedito di ansia e crudeltà che sarà “Cani arrabbiati”. Potrebbe, per alcuni versi, essere considerato il più argentiano dei baviani e, senza far troppo storcere il naso ai puristi, non possiamo non notare quanto alcuni passaggi di sceneggiatura ricordino Profondo rosso, vedi la scelta della Nicolodi, che è più di un velato richiamo, e le musiche che “suonano” indiscutibilmente alla Goblin. Il soggetto del film è del delfino Lamberto e la mano di papà Mario la si avverte soltanto (e tanto) sul set. Si percepisce nei piccoli trucchi di regia e nelle continue invenzioni, ma possiamo immaginare che non volle troppo intromettersi nella stesura del soggetto che risultò quindi “contaminata” (magari per scelte da botteghino e dello stesso Lamberto) soprattutto dai recenti successi del Dario nazionale. La narrazione diventa presto serrata e straniante. Un clima ambiguo imprigiona i personaggi e piccole e strane sequenze ci lasciano avvertire che tanto di più dovrà succedere in quella casa apparentemente piena di nuova felicità. Il piccolo Marco sembra avvertire una presenza nella casa, un fantasma che lo usa come tramite per arrivare alla madre. I nervi della donna verranno messi a dura prova dagli accadimenti e questo, unito al ruolo del figlio, ci ricorda indiscutibilmente la Wendy di Kubrick, anzi, a ben vedere, molti sono i punti di contatto tra i due film: la nuova residenza, il piccolo e riccioluto bambino capace di “vedere” quel che altri non vedono e, come dicevamo, la stessa Dora. In una cosa il film di Kubrick non può competere con Bava…la scelta del piccolo protagonista. Marco (David Colin) è spaventosamente perfetto, espressioni da adulto consumato e morboso in un corpo da bimbo, ancora una volta l’ambigua innocenza del bambino è usata come strumento di terrore e con notevolissimi risultati. Quindi non sono più castelli e cripte le location dove deciderà di girare il nostro amato regista, non più le candele e le pesanti tende ornano le stanze dei protagonisti, ora la paura è umana e tangibile. Quest’opera è l’esempio perfetto di quanto ci ricordava lo stesso Bava nelle sue rare interviste: egli affermava di essere una persona estremamente incline alla paura, ma di non temere mostri e fantasmi, bensì di essere letteralmente terrorizzato dagli uomini e dalla loro crudeltà. Shock è il manifesto di questa sua paura, nessun fantasma sarà mai tanto orribile come quello partorito da una mente disturbata e nessun mondo sarà mai così schioccante come gli angoli imperscrutabili del cervello umano. Ovviamente Shock è ben lontano dall’essere il miglior film di Bava, manca di troppe cose che lo resero grande. La sua maestria si esplicitava decisamente meglio con manieri diroccati e gotici racconti di altri tempi e una modernità, piena di un orrore troppo reale, era ben poco conformabile al suo estro, al suo essere inventore di giochi e atmosfere. Ormai il bel gotic-horror all’italiana aveva lasciato da tempo gli schermi e film come questi segnarono la transizione verso un “orrore” fatto di litri di sangue e mutilazioni gratuite, come dire…non riusciamo più a stupirvi con la bravura, lo faremo con la banalità del disgusto e del ribrezzo. Finale lunghissimo e articolato, ma tranquilli…la fine arriverà, per tutti.

giovedì 5 marzo 2015

La Residencia - Gli orrori del liceo femminile (N.I.Serrador, 1968)

Vicino ad Avignone, un vecchio maniero è adibito a scuola di rieducazione per ragazze, che in altri ambiti sarebbero definite "poco di buono" o dal carattere ribelle. A dirigere il centro è un'austera insegnante, dal carattere freddo e con un approccio addirittura glaciale nei confronti delle studentesse.
In un clima di autentica dittatura, le ragazze che disobbediscono alle ferree regole, subiscono punizioni corporali durissime, mentre il figlio adolescente della direttrice vive segregato in una stanza del castello, spiando i movimenti delle studentesse...alcune ragazze spariscono, uccise da una mano misteriosa e armata.
Film che rappresenta la sintesi di quanto il cinema di genere ha saputo dare. Ovviamente le opinioni personali possono portare le stelle del giudizio ad essere ora appena sufficienti ora il massimo voto possibile...ma nessuno, nessun cultore o semplice appassionato, potrebbe mai rimanere indifferente alla visione di questo gioiello. Tra le mura di quella "Residencia" (titolo originale del film) scorrono le bassezze dell'animo umano e le paure. Aguzzine in erba opprimono le loro compagne, la loro efferatezza, un primordiale assaggio di nazisploitation senza croci uncinate, contribuisce a rendere l'aria del collegio assolutamente malsana e insopportabile. La regia sapiente, le musiche perfettamente cucite alle scene quanto quelle di un muto di inizio secolo, la recitazione (su tutte quella della bravissima Lilli Palmer) sempre credibile, tutto questo  rende la visione del film godibile e appagante, come solo i veri capolavori riescono a fare. E' un gotico esemplare, curato in particolari che altri avrebbero tranquillamente trascurato, lo è così tanto da oltrepassare la misura del maniacale. Eccelse sono le sequenze degli omocidi (un rallenty indimenticabile), come lo sono le scenografie e la fotografia. Serrador si dimostra regista capace e "omaggiato" da tanti (Dario Argento prende più di qualche spunto per il suo "Suspiria"). Nulla di complesso nella trama, oppressi ed oppressori...nulla di criptico se non l'identità dello spietato assassino che ci regalerà anche un bel finale, bello e degno di tanto film. Fughe notturne, amplessi e omicidi sono gli ingredienti con i quali Serrador combina una di quelle opere che hanno vita propria nell'universo cinematografico, che passano oltre i confini di genere e arrivano al piacere puro del cinema. Quando, come accade durante la visione, riusciamo a percepire anche il più piccolo cambiamento di luce e temperatura, a partecipare alla paura e ad annusare l'animo meschino dei personaggi, quando questo accade ci troviamo di fronte ad un capolavoro certo. La Residencia è un film sadico, lugubre e assolutamente indispensabile

sabato 21 febbraio 2015

La Mummia - The Mummy (K.Freund,1932)

Resuscitato accidentalmente, il sacerdote egizio Imothep guida una spedizione archeologica con l'intento di riportare in vita la principessa di cui è ancora innamorato...riportarla in vita dopo moltissimi secoli.
Film più affine al "fantastico" che all'horror. Sia per i gusti, ormai diversi ed esigenti, di chi ama i film "di paura", sia per il ritmo e per le elementari trovate sceniche che certo non stimolano l'amigdala dello "svezzatissimo" appassionato. Eppure fin dalle prime scene avvertiamo la presenza di quel magnifico personaggio creato dall'immenso Karloff. Avvertiamo la personalità enorme di quel magnetico attore e i nostri "sensi cinefili" vengono rapiti dalla immobile espressione del volto della mummia. Il risveglio di Imothep (B.Karloff) è quasi commovente. Possiamo inizialmente vedere solo i suoi occhi e la mano, tanto basta per farci capire che quell'essere ormai si aggira per il set. L'attore britannico incarna, quasi letteralmente, il sacerdote egiziano e la sua espressione (fissa e gelida) diventa degna della storia. Il merito per il bellissimo film Karloff lo deve certamente dividere con Freund, regista e direttore della fotografia. Aveva collaborato con Murnau, partecipato alla perfezione delle opere del regista tedesco e successivamente decise di passare dietro la macchina da presa, prima affiancando (forse) Browning nel suo Dracula e più compiutamente con questo suo film nel 1932. Le atmosfere perfette, la recitazione superba e la magistrale direzione degli attori rendono affascinante la pellicola e capace di superare i segni che il tempo lascia per diventare un classico di sempre. Tutto girato in bianco-nero di ottima fattura e, in alcuni DVD presenti in commercio, ancora corredato di un magnifico doppiaggio dell'epoca. Certamente il ritmo risente fin troppo del passare degli anni e forse la vicenda avrebbe meritato più spettacolarità, ma è lento come lo sono i passi di Imothep, quasi come se tutto il girato ci volesse portare oltre le semplici vicende terrene dei protagonisti per superare i confini del tempo, così come ha fatto l'amore dei due amanti 3500 anni prima. Quindi la visione del film è inevitabile, per gli appassionati è doverosa. I primi piani di karloff sono indimenticabili e ancora una volta dobbiamo rassegnarci a quanto il cinema abbia perso in fantasia e maestria per guadagnare in troppi e inutili effetti speciali.

lunedì 26 gennaio 2015

La notte dei Dannati - Night of the sexual demons (P.Rush,1971)

Jean Duprey, un giornalista famoso per la sua abilità di investigazione, riceve un messaggio cifrato dall'amico Guillaume di Saint-Lambert. Il principe gli fa capire di trovarsi in grave pericolo. Recatosi, con sua moglie Danielle, al castello del nobiluomo, Jean apprende da lui, terribilmente prostrato da una misteriosa malattia e assistito dalla consorte (Rita Lernod) e dal sinistro dottor Berry, dell'esistenza di una antica maledizione che da tre secoli graverebbe sui Saint-Lambert...tutti destinati a morire al compimento del loro trentacinquesimo anno di vita. Qualche giorno dopo Guillaume (fatalmente) muore. In seguito al ritrovamento, nelle ore successive, dei corpi dissanguati di due giovani cugine del defunto, Jean, su richiesta della polizia locale, rinvia la partenza dal castello per collaborare alle indagini. Frugando fra le vecchie carte, custodite nella biblioteca, egli scopre che, giusto tre secoli prima, un Saint-Lambert aveva spedito sul rogo la strega Tarin-Drôle...anagramma di Rita Lernod. 
La Notte dei Dannati...film tanto farcito di richiami colti e citazioni da film ben più famosi da aver quasi deluso i gusti, ormai quasi esclusivamente dediti al pecoreccio, degli spettatori all'uscita della pellicola nelle sale italiane. La versione non censurata (più lunga di 10min) girava quasi clandestinamente per i magazzini dei vari cinema. Il pretore tardava a dare il parere favorevole, richiedendone comunque il divieto ai minori di 18 anni, per delle complicatissime vicende burocratiche. Tutto si risolse tagliando, anche in malo modo, le scene più esplicitamente lesbo tra le due attrici principali (all'estero il film non ebbe tagli...con buona pace dello spettatore italiano). Walter Ratti (il regista) voleva per il suo film quelle venature gotiche che fecero la fortuna di tanti horror nostrani. Una scelta decisamente fuori moda per gli anni '70...dove faceva più "botteghino" un seno nudo che una cripta perfettamente ripresa. Ma il bravo Ratti riesce nel suo intento...usa bene i colori saturi alla Bava e le ambientazioni più adatte allo scopo. Aveva tutto per confezionare un prodotto degno di un buon posto nelle classifiche dei gotici italiani, tutto tranne un fondamentale...la recitazione. Nessuno dei protagonisti si eleva da una mediocrità colpevole e fastidiosa. Un livello talmente basso che ha completamente tolto interesse al film e ne ha decretato l'oblio. Un peccato imperdonabile. La pellicola nel complesso avrebbe meritato di più e, passando oltre ad alcune cadute di ritmo nella parte centrale, non appariva neanche così scontata nella trama e nel soggetto. Anime dannate e streghe, insieme ad un accenno ad enigmi da risolvere, sarebbero riusciti ad interessare un pubblico di estimatori del "genere"...un'occasione persa. Il colpo di grazia, una volta deciso di portare a termine la visione, lo assesta una delle più inguardabili scene di trasfigurazione di un attore. Sovraimpressioni di pellicola indegni e tagli perlomeno bizzarri. La strega ci svela il suo vero aspetto e (orrore orrore),con tanto di naso bitorsoluto, pretende di intimidire quanti la scambieranno inevitabilmente per la befana che portava loro doni da bambini...pessimo, pessimo sul serio. Proprio per questo suo essere rimasto in bilico tra un buon film possibile e un'occasione sprecata mi sento comunque di consigliarne la visione...certo non a tutti. Chi ha già trangugiato chilometri di film horror-vintage ne apprezzerà le citazioni e saprà coglierne le poche cose buone, gli altri lo disprezzerebbero e nulla più. Non credo esista un DVD distribuito in italia, sicuramente esiste una VHS rara e, ovviamente, solo ed esclusivamente nella versione censurata. Per "godersi" la versione "uncut" ci si dovrà armare di pazienza e cercare le versioni inglesi o tedesche...se e solo se avrete tempo e, soprattutto, voglia da dedicare alla ricerca.

sabato 3 gennaio 2015

Nosferatu, il Vampiro - Nosferatu, eine symphonie des grauens (F.W.Murnau,1922)

Germania, 1838. Jonathan Harker è un agente immobiliare che vive nella cittadina di Wisborg insieme alla fidanzata Ellen. Quando Knock, il suo principale, gli affida l’incarico di trattare l’acquisto di una proprietà con il misterioso Conte Orlok, Jonathan si mette in viaggio per i Carpazi. Ma una volta raggiunto il maniero di Orlok, Jonathan scopre che il Conte è in realtà un vampiro che si nutre di sangue umano.
Primo film del 2015 e quello a cui è dedicato il blog. Per parlare di alcune opere, per scriverne quattro righe di commento, non si ha poi bisogno di esserne i maggiori esperti al mondo...se ne può chiacchierare senza troppe paure reverenziali. Di Nosferatu no. Si dovrebbe  sapere di tecnica cinematografica, studiare la biografia del suo regista (Friedrich Wilhelm Murnau) e (ovviamente) aver letto e riletto il capolavoro di Stoker. Questo meriterebbe l'opera fondamentale del vampirismo su pellicola e dell'horror in generale. Qui, con tutta la modestia del caso, vedremo di elencarne almeno le principali caratteristiche. Murnau viene annoverato tra gli esponenti del cinema espressionista tedesco, una corrente che stupì il mondo con tecniche mai viste e "colorò" le pellicole, se non di pigmenti, di sensazioni e sentimenti. Eppure il suo genio, se solo avesse avuto dei seguaci alla sua altezza, avrebbe potuto essere il capostipite di una corrente a lui dedicata. Un modo di girare "alla Murnau" che non rivedremo più dopo la sua morte. Quel suo uso ipnotico del "primissimo piano", i set "naturali" che stupirono Wiene e quelle sue "ombre" che scavarono nel profondo di tutti quelli che videro il film e li portò dritti tra i loro incubi peggiori. Stoker aveva dato vita al suo Dracula da quasi un quarto di secolo quando Murnau decise di portarlo sul grande schermo. Ne riprese le atmosfere, la storia e plasmò il suo personale Conte...aristocratico e gelido come meglio non si poteva. Inventò la maschera di Orlok, frutto del suo genio e della scelta di un attore (Max Shreck) che divenne esso stesso parte della leggenda. Risultò tanto credibile che per decenni lo si credette un vero vampiro. Questo intreccio di falso e reale fu l'alchimia che fece, allora e incredibilmente ancora oggi, scorrere un brivido gelido nei fotogrammi di Nosferatu e nelle vene di chi assistette alla proiezione. Veri erano quei monti, le abitazione e il castello, vera la paura dei paesani. In tutto questo "reale" Murnau conficca un personaggio alieno e animalesco. Un mostro gotico, emanazione precisa delle paure più nascoste. Non banalmente traculento, nessun verso minaccioso ma uno sguardo ipnotico, due occhi che scrutano dentro e imbarazzano e angosciano. Quel suo procedere lento, l'aracnodattilia delle mani e la dentatura da roditore hanno dato al mondo una delle icone più famose e mai superate. Il film è muto, parlano per lui le scene virate in blu o seppia. Quel castello in Slovacchia, la Germania ottocentesca e una scenografia sublime, fanno risultare superflui, più che assenti, le parole e i dialoghi. Il male, la peste, che tramite il "principe delle tenebre" si impossessa della città, ma la nostra sensazione è che infetti il mondo e noi stessi, è rappresentato con tanta efficacia che basteranno quelle strade vuote e il Conte che le attraversa con la sua bara, portata di peso, per imprimere nella nostra mente quei frame eterni e a dare definitiva forma umana alle nostre paure. Non solo Orlok ma anche i personaggi minori, vedi Knock, partecipano alla perfezione. Sono la corte degna di quel "principe" che è Nosferatu e di quel grandissimo artista che fu Murnau. Intellettuale, ambizioso e ai margini di una società che fino alla sua morte non lo accettò mai pienamente (era omosessuale dichiarato) e che potè contare solo sulla sincera amicizia di pochi. Nosferatu, ma in generale il cinema di Murnau, è uno dei pilastri su cui si poggia la filmografia. Vetta dell'horror più raffinato e arte che supera tempo e confronti per elevarsi a capolavoro assoluto.