sabato 3 gennaio 2015

Nosferatu, il Vampiro - Nosferatu, eine symphonie des grauens (F.W.Murnau,1922)

Germania, 1838. Jonathan Harker è un agente immobiliare che vive nella cittadina di Wisborg insieme alla fidanzata Ellen. Quando Knock, il suo principale, gli affida l’incarico di trattare l’acquisto di una proprietà con il misterioso Conte Orlok, Jonathan si mette in viaggio per i Carpazi. Ma una volta raggiunto il maniero di Orlok, Jonathan scopre che il Conte è in realtà un vampiro che si nutre di sangue umano.
Primo film del 2015 e quello a cui è dedicato il blog. Per parlare di alcune opere, per scriverne quattro righe di commento, non si ha poi bisogno di esserne i maggiori esperti al mondo...se ne può chiacchierare senza troppe paure reverenziali. Di Nosferatu no. Si dovrebbe  sapere di tecnica cinematografica, studiare la biografia del suo regista (Friedrich Wilhelm Murnau) e (ovviamente) aver letto e riletto il capolavoro di Stoker. Questo meriterebbe l'opera fondamentale del vampirismo su pellicola e dell'horror in generale. Qui, con tutta la modestia del caso, vedremo di elencarne almeno le principali caratteristiche. Murnau viene annoverato tra gli esponenti del cinema espressionista tedesco, una corrente che stupì il mondo con tecniche mai viste e "colorò" le pellicole, se non di pigmenti, di sensazioni e sentimenti. Eppure il suo genio, se solo avesse avuto dei seguaci alla sua altezza, avrebbe potuto essere il capostipite di una corrente a lui dedicata. Un modo di girare "alla Murnau" che non rivedremo più dopo la sua morte. Quel suo uso ipnotico del "primissimo piano", i set "naturali" che stupirono Wiene e quelle sue "ombre" che scavarono nel profondo di tutti quelli che videro il film e li portò dritti tra i loro incubi peggiori. Stoker aveva dato vita al suo Dracula da quasi un quarto di secolo quando Murnau decise di portarlo sul grande schermo. Ne riprese le atmosfere, la storia e plasmò il suo personale Conte...aristocratico e gelido come meglio non si poteva. Inventò la maschera di Orlok, frutto del suo genio e della scelta di un attore (Max Shreck) che divenne esso stesso parte della leggenda. Risultò tanto credibile che per decenni lo si credette un vero vampiro. Questo intreccio di falso e reale fu l'alchimia che fece, allora e incredibilmente ancora oggi, scorrere un brivido gelido nei fotogrammi di Nosferatu e nelle vene di chi assistette alla proiezione. Veri erano quei monti, le abitazione e il castello, vera la paura dei paesani. In tutto questo "reale" Murnau conficca un personaggio alieno e animalesco. Un mostro gotico, emanazione precisa delle paure più nascoste. Non banalmente traculento, nessun verso minaccioso ma uno sguardo ipnotico, due occhi che scrutano dentro e imbarazzano e angosciano. Quel suo procedere lento, l'aracnodattilia delle mani e la dentatura da roditore hanno dato al mondo una delle icone più famose e mai superate. Il film è muto, parlano per lui le scene virate in blu o seppia. Quel castello in Slovacchia, la Germania ottocentesca e una scenografia sublime, fanno risultare superflui, più che assenti, le parole e i dialoghi. Il male, la peste, che tramite il "principe delle tenebre" si impossessa della città, ma la nostra sensazione è che infetti il mondo e noi stessi, è rappresentato con tanta efficacia che basteranno quelle strade vuote e il Conte che le attraversa con la sua bara, portata di peso, per imprimere nella nostra mente quei frame eterni e a dare definitiva forma umana alle nostre paure. Non solo Orlok ma anche i personaggi minori, vedi Knock, partecipano alla perfezione. Sono la corte degna di quel "principe" che è Nosferatu e di quel grandissimo artista che fu Murnau. Intellettuale, ambizioso e ai margini di una società che fino alla sua morte non lo accettò mai pienamente (era omosessuale dichiarato) e che potè contare solo sulla sincera amicizia di pochi. Nosferatu, ma in generale il cinema di Murnau, è uno dei pilastri su cui si poggia la filmografia. Vetta dell'horror più raffinato e arte che supera tempo e confronti per elevarsi a capolavoro assoluto.

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