sabato 24 novembre 2012

The Turin Horse (B.Tarr,2011)


Lunghissimi,interminabili pianisequenza. Lunghissimi, interminabili silenzi, o meglio, assenze di parole…di inutili e inadeguate parole. In uno scenario postatomico o forse medievale, di povertà data dall'autodistruzione o dalla carestia. Due personaggi tra le luci e le ombre nerissime di un Bela Tarr meraviglioso. La vita subita più che vissuta, lasciando alla ripetitività dei gesti la ricerca di un senso minimo a quell'esistenza. La trama: La trama è presto detta. Una voce fuori campo che narra della pazzia che prese il filosofo Nietzsche dopo che a Torino assistette alle frustate inflitte ad un cavallo dal suo padrone, poi si apre la scena su uno dei più bei pianisequenza della storia. Un vecchio ed evidentemente stanco cavallo (forse lo stesso del racconto iniziale) trascina un carro ed un uomo verso un casolare nel mezzo del nulla. Qui la figlia dell'uomo aiuta a ricoverare il carretto e quel compagno animale. Senza, o quasi, dialoghi assisteremo alle giornate, senza calendario e senza differenze. Mangiare patate e dormire. Dormire e poi il carro per trasportare il nulla. Poi patate e poi nulla. Quel cavallo si ammala, quel cavallo non avrà più motivo per vivere e insieme al suo rifiuto alla vita decreterà la fine di chi con lui viveva, di chi con lui mangiava. La fine è imminente e la fine ha una musica, ha uno strumento solista …è un vento possente che fa sbandare le persone, le tormenta, le accompagna verso un finale tanto silenzioso da essere insopportabile frastuono e poi il nulla vero, il nero di uno schermo pieno di tutte le scene viste e riviste, forse accadute ma niente più a provarne l'esistenza passata. Film di una difficoltà estrema, dove niente è facile e dove si deve sublimare la lentezza e renderla suggestione per coglierne le verità profonde. Una maestria tecnica che Tarr mette a disposizione di un lavoro che sarebbe giusto definire la "prova d'artista" perfetta. Definirlo però, come fortemente credo io, un film-speranza potrebbe sembrare a molti la più grande delle assurdità…ma come non vedere in quei gesti a memoria, testardi e mai cambiati un caparbio attaccamento anche alla più misera vita possibile. Come non chiamare coraggio e lotta l'incedere faticoso contro un vento tiranno o quello strappar via furiosamente la buccia da quel cibo non da uomini, ma pur sempre nutrimento., non è questo forse uno dei gesti più disperatamente umano che esista?! Quella giovane donna che aiuta a vestire il vecchio padre…non lo fa con gesti servili, come ad un occhio poco accorto potrebbe sembrare, ma rende quel rito quasi la vestizione di un cavaliere che con la sua corazza di stracci resisterà a quel mondo per un altro giorno ancora. Tutto questo con un modo di girare e di inquadrare che definiremo "epico", che dona ritmo a scene quasi immobili…che, primo e per tutti quell'iniziale pianosequenza, dimostra la bravura del cineasta ungherese. Un capitolo a parte sarebbe da dedicare a quel Mihàly Vig che, in questo e spesso, suona le musiche nei film di Tarr, portando l'espressività già potente di quei frame a livelli di eccellenza mai esplorati e "condanna" film come questo The Turin Horse a quell'olimpo di inarrivabili capolavori della settima arte.