lunedì 5 novembre 2012

La morte corre sul fiume (C.Laughton,1955)


La puritana America di provincia durante la grande depressione è il palcoscenico di questo racconto noir di rara bellezza. Girato con evidentissimi rimandi espressionisti e portatore di quel mood e quelle ombre lunghe che Lang usò da maestro per il suo M. Film quest'ultimo che viene richiamato anche per il tema e per la contrapposizione della massa all'individuo. Rimane (La morte corre sul fiume) primo e unico film di un regista che, visto questo, avrebbe potuto dire molto. C. Laughton non divenne un cineasta famoso ma fu attore celebre e apprezzato da molti. Hitchcock per il suo Caso Paradine e un Oscar nel '34 ne provano la bravura. La trama: Harry Powell è un assassino e ladro che percorre le polverose strade dell'Ohio nei primi 30anni del secolo scorso. Si spaccia per pastore/predicatore e con questo travestimento ottiene stima e facile fiducia dalle persone che conosce. Ha incontrato in prigione un uomo condannato a morte per omicidio e che imprudentemente rivela lui di aver nascosto nella casa dove viveva con la moglie e i suoi due figli il malloppo della rapina commessa. Powell esce di galera e si reca fatalmente dove potrà mettere le mani su quei soldi. Avuta la fiducia della moglie del suo compagno di cella e dei gretti compaesani di questa arriverà a sposarla. Terrorizzerà i due fanciulli, che sanno dove il denaro è realmente nascosto, e dopo aver ucciso la loro madre li inseguirà lungo il fiume Ohio…La riuscita figura del predicatore/assassino ha le caratteristiche di icona eterna del cinema. Le sue mani tatuate e lo sguardo di un Robert Mitchum in stato di grazia reggono il confronto con il Lorre di Lang e donano al film una modernità che supera probabilmente anche le stesse intenzioni del regista. Ombre nerissime quanto l'animo del protagonista e canti religiosi accompagnano un road-movie particolarissimo, tanto noir da essere citato tra i migliori del genere, tanto thriller da essere esempio da scuola, ma che in verità deve la sua fortuna nell'essere una singolarità fuori dai generi e canoni classici…caratteristica quasi ma replicata in altri film. Laughton crea un personaggio di una cattiveria estrema e quasi schiavo del suo stesso esserlo, senza possibilità di scelta…cattivo, crudele e basta. Sembra invece puntare molto di più il dito e le colpe verso una massa ipocrita e, gravissimo, cieca per scelta e complice, con quella sola voglia di tranquillità che rischia spesso di essere vigliacca e pericolosa. Facile trovare nella biografia del regista dei rimandi a questa condizione. La sua omosessualità vera o presunta rappresentò un peso e quasi un'accusa che non riuscì mai a togliere dalla mente di critici e bigotti colleghi. Si sfogò trattando, nel suo film, quei piccoli uomini e donne del paese (metafora della massa bue e non pensante) come fossero un male peggiore anche dell'omicidio stesso. La loro beota tendenza a seguire ciecamente un capo e le sue parole è, per il regista britannico, una colpa imperdonabile e massima. Cura, di conseguenza,  le figure di alcuni singoli, la signora Cooper per tutti, identificando nella loro "individualità" la sola speranza possibile. Tecnicamente il film risulta di una modernità sconcertante. Scene bidimensionali e richiami a Wiene non volutamente nascosti, ma ostentati e perfettamente funzionali al racconto. Moltissimi frame sono nella memoria di tutti, anche di chi il film non l'ha mai visto e questo a prova della sua bellezza vera.  Tutto scorre nel film, i personaggi si spostano lungo quel fiume che sembra una perfetta metafora di quella linea  della vita da percorrere tutti inevitabilmente, ma con la possibilità di guadagnare, per i più capaci e forti, la riva e fermare quello scorrere fatale. Di godere di aver scelto quel fermarsi o quell'andar via dal "vivere e sentire comune" come una sacrosanta testimonianza di una individualità necessaria.