mercoledì 2 gennaio 2013

Gli uccisori (A.Tarkovskij,1958)


Questo corto di 20min sarebbe potuto passare inosservato e rimanere solo quello per cui, al tempo, fu pensato, un esercizio d'esame per un corso della VGIK (scuola di cinema moscovita), ma riuscì a concentrare tante di quelle "particolarità" che risultò inevitabile tenerlo in considerazione nel compilare la futura filmografia di Tarkovskij. Prima di queste e la più importante è, senza alcun dubbio, l'ambientazione. Nessun film prima di questo riuscì mai a superare quello che potremo definire un vero e proprio "ordine non scritto di regime", quello di dover usare luoghi, nomi e personaggi solo inseriti nella totalizzante cultura sovietica. Sembra cosa di poco conto ma contestualizzata in quel 1958, anno di produzione del corto, ebbe la stessa forza dirompente di una "riforma luterana". Il bravo cineasta russo legge e ripropone un celebre racconto di Hamingway (Gli uccisori) che si muove nella fumosa periferia di Chicago dei primi vent'anni del secolo scorso. Sentire gli attori parlare quella "strana" lingua, così distante dal poter rendere frasi idiomatiche e movenze tanto tipicamente americane, ha ancora oggi un qualcosa di destabilizzante quanto interessante. Come se non bastasse questo a fare del corto un oggetto di studio per i cineasti dobbiamo anche ricordare quanto Gli uccisori (il racconto) rimanga una strada mai più percorsa da Hamingway…è un noir. Un noir talmente tanto primordiale da non presentare nessuno di quei canoni imprescindibili per questo genere di film e di libro. Non ci sono poliziotti, baveri alzati e lampioni a proiettare ombre lunghissime sui muri…non ci sono nel libro e non li troveremo nel corto di Tarkovskij. La lentezza del susseguirsi delle immagini aiuta il regista a riproporre lo scrivere dello scrittore statunitense con un risultato di notevolissimo interesse. Lentezza, questa si, rimasta una delle caratteristiche del girare del cineasta russo. Un lento susseguirsi di scene che si uniscono come due liquidi in un contenitore e non, come solitamente accade, forzati montaggi solo adatti a spingere lo spettatore allo stupirsi più che al pensare. La trama: In una tavola calda della periferia di Chicago entrano due strani e loschi individui. Si rivolgono con arroganza al gestore del locale e fanno capire da subito che non sono li per mangiare. La loro intenzione è quella di uccidere, non appena si presenterà nel locale, uno svedese di nome Ole Anderson e ordinano ai tre uomini (George il gestore, Sam il cuoco di colore e Nick Adams quel famoso Nick dei racconti di Hamingway) di tacere e assecondare il loro volere. Lo svedese non entrerà mai nel locale e i due gangster andranno via, lasciando sconforto e rassegnazione in George e Sam…non nel giovane Nick che correrà ad avvertire Ole. Quella sua giovane voglia di ribellione non avrà compagni…Ora..non possiamo non cogliere la scelta fatta dal 26enne Tarkovskij di legare a quel giovane e ancora sognatore Nick una sua volontà di smuovere l'immobile visione sovietica del mondo. Di andare oltre quel "le cose vanno e andranno sempre così" che sono le parole e le convinzioni dei personaggi del film, anche di fronte ad una vicenda così urgente. Evidentemente deve essere sembrata una perfetta rappresentazione della vita e dell'arte di regime in quel periodo storico. Tarkovskij dopo quel corto inizierà la sua avventura nel mondo del cinema…girerà bellissima fantascienza, lavorerà per il suo egoismo e non farà cadere quello che in questo corto era solo un velato attacco alla impettita e aureferenziale nomenclatura russa…girerà quello che è il suo manifesto e il perfetto Tarkovskij, girerà Andrej Rubliov…dove è l'arte la soluzione, dove è l'arte il luogo dove il giovane Nick del suo corto ha forse trovato approdo dopo aver lasciato quel locale di Chicago e quella arrendevole e sterile apatia.