lunedì 21 gennaio 2013

La casa dalle finestre che ridono (P.Avati,1976)


E' un bel film, ma non capirò mai gli "osanna" che ha suscitato. E' considerato (da molti) il miglior horror gotico italiano e non è né un horror né tantomeno un "gotic-horror". E' un giallo con venature di macabro e ambientazioni rurali…le parole e le etichette hanno un peso e devono essere usate a misura. Personalmente lo reputo un godibile e originale lavoro, il divertimento di un bravo regista, ma che palesemente non porta i geni del classico film "de paura" a noi tanto cari. Ben diretti gli attori e buona sceneggiatura, ma purtroppo la recitazione lascia  a desiderare e l'inespressività evidente è macchia troppo grande da nascondere trattandosi di un film di genere, che basa tutto o quasi sui personaggi e sulla loro personalità. Il protagonista (L.Capolicchio) ha una e una sola smorfia per tutta la durata del film, coprotagoniste femminili praticamente di cera e, salvando Gianni Cavina, tutti poco più che comparse. Buon colpo di reni nel finale che risolleva il film e lo farà ricordare. Detto questo non possiamo negare che nel suo strano essere un "non horror, quasi horror" rimane una singolarità nel panorama del cinema nostrano e nella filmografia di Avati. Ha meriti certi nel non volersi omologare e, pur non riuscendo completamente nell'intento, il film ha motivo di esistere. Si aggroviglia in una trama intricata e a tratti di difficile comprensione. Tanti, troppi e banali colpi di porte sbattute (quasi i soli effetti presenti nel film) hanno come conseguenza unica un lieve sussulto sulla poltrona e poco altro, e questa pochezza ad Avati non possiamo perdonarla. Personalmente trovo anche inadeguata, ma per altri è una vera trovata del regista, la fotografia. Rendere "gotiche" le assolate e goderecce terre della bassa ferrarese è cosa ardua quanto impossibile….siamo abituati ad avere e ci aspettiamo di trovarli, in un classic horror, muffa e location memorabili…di questo nella Casa dalle finestre che ridono non c'è traccia. Sembra, volendolo audacemente interpretare Avati, che il regista intendesse giocare con quei canoni inamovibili che costituiscono l'ossatura stessa di un film horror. Sembra rendere caricature dello loro stesse maschere i vari personaggi e voler ridere della passione per macabro ed oscuro dello spettatore. Il film ha ragione di essere visto perché non è possibile basarsi sull'opinione di chi lo recensisce (questa mia per prima)…lo si ama (e devo ammettere che sono in tanti) o lo si critica come il sottoscritto. Rimane il dubbio che per alcuni il tessere le lodi di questo lavoro possa essere solo una logica conseguenza di aver, più che visionato il film, letto autorevolissime schede di autorevolissimi critici. La trama: Un giovane restauratore viene ingaggiato da un facoltoso imprenditore di un piccolo paesino del ferrarese per lavorare sul restauro di un affresco appena ritrovato nella chiesa del luogo. Il dipinto è inquietante tanto quanto il pittore che lo ideò. Una specie di Ligabue, ma più amante del macabro e certamente poco presente a se stesso. Le vicende porteranno il passato lugubre di quel luogo e di chi lo abita a riemergere, le complicità di alcuni insospettabili e il cadere delle maschere di alcuni personaggi ci consegneranno un finale inaspettato e, se pur poco sviluppato, di buona originalità. Di seguito il link con il film completo.