“Questo film è una bestemmia, nessuno l’ha mai capito”… così
diceva del suo Moby Dick John Huston, sottolineando una delle tante chiavi di
lettura, quella antiautoritaria e anticlericale, che ha il romanzo di Melville e di conseguenza il suo film. Magari
considererebbe allo stesso modo la forzatura di marchiare la sua opera come un horror
di quelli presenti in questo blog. Eppure, anche consapevoli della probabile assurdità del fatto, qualche ragione c’é. Arriverei a definirlo
un gotico tra i più classici. Le montagne sono ora onde gigantesche e i
castelli sono diventati una grande baleniera, tetra come un maniero tra le
brume e “abitata” anch’essa da un dispotico padrone. E’ horror perché Moby Dick
è uno spettro, un demone bianco da temere quanto un’orda di zombi affamati. L’aria
sul Pequod è densa e malsana come nella taverna che ospita Hutter prima di
conoscere Nosferatu. Achab attende la sua balena bianca con la stessa ansia con
cui Van Helsing apre la bara di Dracula per ucciderlo, la vede emergere dal suo
sarcofago d’acqua con la medesima regale arroganza. Ma quello che rende più di
ogni altra cosa il film un’icona horror è la sconfinata voglia del capitano
Achab di affrontare le sue paure. Certamente incarnate nel corpo di quell’enorme
mammifero ma contenute tutte nella sua anima nera e vendicativa. Egli ha il suo
“mostro” davanti agli occhi e la paura è appena minore della sua voglia di
rivalsa. Huston e Peck questo hanno in mente nel dare vita alle parole del
romanzo di Melville, un uomo che affronta un mostro sovrumano e che arriva a
scoprire che il mostro è lui stesso e la sua smisurata malvagità…e questa, a
ben vedere, è la trama di base di quasi tutti gli horror classici più
conosciuti, spesso è l’uomo e la sua disumanità a portare ansia e orrore in
quei film che tanto amiamo, molto più di qualsiasi dente aguzzo o pallore di
fantasma. Di Achab e della sua follia
hanno paura i suoi uomini, di Moby Dick hanno paura tutti. Non perché la mole
li spaventi, sono marinai capaci e tutto sommato è solo una balena, ma perché quella
stessa paura li rende uomini…hanno bisogno del mostro per affermare se stessi.
Riportare tutto questo dal libro in un film sembrava cosa immensa quanto il soffio
della bestia, eppure la fotografia, la recitazione e l’ottima regia riescono
nell’impresa. Il film è epico, quasi biblico e colmo di scene memorabili e
personaggi che rimangono compagni di una vita dello spettatore, come lo sono stati dopo averli letti e conosciuti nelle
righe dell’immortale romanzo di Melville. Fare un bel film avendo a
disposizione un soggetto come il libro in questione è un gran bel vantaggio,
direte voi, e invece farebbe tremare i polsi di qualsiasi regista. Adulterare
le atmosfere e banalizzarle è un rischio troppo grosso e ci vuole coraggio da
baleniere per affrontarlo e vincere come succede a Huston. Del suo bel film nessuno
dimentica il cameo di Orson Welles che declama la sua omelia nella Cappella del
Baleniere da un pulpito con le forme di una prua di nave, nessuno dimentica la
bellezza di quei rudimentali effetti speciali che ben rappresentano il mostro
bianco e la caccia a metà dell'800, nessuno dimentica i frame che immortalano Peck/Achab legato per sempre
al ventre del suo aguzzino…finale perfetto di un horror dove il buono non vince
o dove meglio ci si rende conto che il buono spesso non esiste e che l’enorme bestia
bianca è la paura ancestrale dei limiti umani, paura che partorisce streghe,
vampiri e Moby Dick…il tipo di paura che ha segnato il successo di ogni film horror degno
di questo nome. La trama credo (e spero) che risulterebbe superflua, quindi non
spreco altre righe, se non per invitarvi a vedere il film e ancor più a
rileggere il romanzo.
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