Il corpo è quello di Daliah Lavi, un corpo perfetto. La frusta la usa Cristopher Lee per punizione e per piacere sulla sinuosa Lavi. E’ un film di fantasmi, con poca trama e un finale, se non estremamente prevedibile, quasi ovvio. Girato in un Technicolor perfetto e sublime, quanto di più gotico possibile e talmente tanto d’atmosfera che si riesce a respirarla. John Old (per l’anagrafe Mario Bava!) voleva Barbara Steele per il film e nessuno di noi pensa che sarebbe stata una scelta sbagliata…poi in quell’anno Rondi girò Il Demonio e la bravura della giovane attrice israeliana (Daliah Lavi) non sfuggì a Bava. Era esotica, diversa e statuaria e quando si aveva il bisogno di dar vita ad un personaggio che spiccasse e si differenziasse dal resto del cast, questo per il film di Rondi fu vitale, affidare il ruolo alla Lavi era quasi obbligatorio. Attrice di buon livello e talento artistico a tutto tondo. Dopo aver smesso con il cinema ha avuto buon successo anche come cantante e non ha perso nulla del suo fascino. Quando nel 1963 La frusta e il corpo vide la luce suscitò tanto di quello scalpore che miglior pubblicità sarebbe stato impossibile. L’accennare, neanche tanto velatamente, ad un rapporto sadico tra i due protagonisti rende l’atmosfera ancora più carica di interesse e, insieme alla fotografia, fa tutto il film. Buona parte della pellicola è usata per riprendere Nevenka (Lavi) e il suo precipitare nell’abisso della follia. La trama, se pur debole, è svolta con buona cura e quel minimo interesse che abbiamo per sapere se quanto di quel che accade possa essere colpa di un fantasma o di un umano basta per portarci a finire il film. Ma lo ricorderemo per quei colori fantastici, per le luci e per l’ottima colonna sonora…perfetta, adeguata ed indispensabile opera di Carlo Rustichelli. Di livello è, tutto sommato, anche l’interpretazione dei vari componenti del cast. Oltre la Lavi troviamo un cattivissimo Cristopher Lee (Kurt Menliff) e Luciano Pigozzi. Alcune scene cult non si dimenticano (anche perché spesso le vedremo riproposte in tanti altri film del genere). Una per tutti: la mano di Kurt che cerca di afferrare Nevenka è talmente ben girata e fotografata da risultare effettivamente tridimensionale, e perfetta per essere oggi inserita in uno di quei film che puntano tutto sull’effetto speciale e sull’impressionare chi siede in sala con oggetti che “fuoriescono” dalla schermo, ecco..quella mano ha lo stesso identico risultato, ma 50anni fa, senza occhiali 3D e con molti molti soldi in meno a disposizione. Un genio è tale per sempre e riconoscerlo non può certo essere difficile quando parliamo di Bava. E’ l’erotismo, segno distintivo dell’horror classico italiano, a dare fiato vitale a questo bel gotico. Spavento e lussuria sono droghe che hanno portato alla dipendenza ogni singolo appassionato di questo genere. Le sottovesti trasparenti delle belle protagoniste femminili, che inevitabilmente cadevano tra le braccia di spettri o assassini, non potevano mai mancare, almeno quanto la pellicola nella telecamera. L’anima del film è il suo regista, è nelle mani sapienti dello stesso e di Terzano che si occuparono della fotografia. Gli amplessi che la frusta provoca alla bella Nevenka e la sua schiena nuda sono reali quanto lo può essere la perfetta finzione cinematografica…quella che non deve essere per forza “reale” ma deve provocare “reali” sensazioni. La trama in estrema sintesi: Nevenka è data in sposa a Christian, con un matrimonio, come tutti quelli combinati, privo d’amore. La sposa si rifugia così tra le braccia dello sgradevole cugino Kurt, tornato dopo un’assenza durata anni, con il quale instaura una relazione clandestina sadomasochistica. Il diseredato Kurt il suo posto all’interno della famiglia, anche ai fini di incassare la sua parte di eredità. Trova invece la morte a causa di una coltellata. Eppure sembra che il suo spettro continui a vagare, soprattutto per Nevenka, ancora vittima (a dire il vero molto compiaciuta) dei colpi inferti dalla frusta del suo amante.
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