Come per tanti altri film d’importazione anche per il Martin di Romero si cercò, al momento della distribuzione nel nostro paese, di rendere il tutto più compatibile ai gusti italiani, si intervenne sul montaggio (quello distribuito in Italia, con il titolo cambiato in Wampyr, perde buoni 10min rispetto al girato originale) e si affidarono le musiche ai nostrani Goblin…ormai famosi dopo le collaborazioni con Argento. La visione del Director’s Cut (di quello parleremo) è indubbiamente la scelta migliore da fare, non perché l’altro risulti snaturato e lontano dalla volontà di Romero, ma per una migliore fluidità e coerenza nel racconto. Rilettura in chiave moderna del mito del vampiro. Non più castelli e lunghi mantelli, lugubri saloni o cripte petrose…il “vampiro” del film è Martin, diciottenne americano, serial killer e necrofilo, gelido e dallo sguardo assente, figlio perfetto dell’alienata società dei consumi e metafora del suo stesso disfacimento..o forse è la reincarnazione di un vero vampiro? Romero vuole spiazzarci, farci illudere di aver capito per poi deludere le nostre sicurezze, e questo con tanta maestria che, nonostante la lentezza del film, ci risulterà facile e avvincente anche la visione di una così particolare opera. Gelida quanto il castello del Dracula di Browning è la metropoli, personaggi strani e più mostruosi di qualsiasi Nosferatu si aggirano per quei boschi di acciaio e inquinamento. Martin non ha paura dei crocifissi e vive alla luce del sole, ma dei bellissimi flash-back in b/n sembrano farci intendere che il ragazzo abbia almeno cento anni (e il dubbio rimane). Della sua natura vampiresca è convinto suo cugino Cuda, lo è perché Martin è strano, perché Martin è socialmente inadeguato e soprattutto perché la sua stranezza lo rende troppo libero ai suoi occhi. Bravo, bravissimo è John Amplas che interpreta Martin, quasi la rappresentazione esatta della marionetta di se stesso, di poche parole e perennemente imbambolato…lo disegna succube delle sue pulsioni sessuali e della anacronistica convinzione della sua famiglia che, piuttosto che ritenerlo un sociopatico, preferisce semplificare etichettandolo come vampiro. Romero ha pochissime risorse per portare a temine il film e usa bene ogni singolo dollaro, la sua bravura nel pensare inquadrature e atmosfere non si paga e in questo film ce ne fa dono senza risparmiarsi mai. Lui e il suo bravo attore protagonista sono tutto il film, fanno di Martin quasi un supereroe negativo, un folle e inquietante vendicatore della spazzatura dell’animo umano…un negativo estremo contro l’ipocrisia di un falso e grottesco buonismo, paravento e maschera per i mali di questo nostro tempo. Come già detto il film soffre di una lentezza colpevole, si fa troppo vanto della sua “povertà” e colma con l’originalità le evidentissime pochezze nella cura della fotografia e del cast. Se di horror si tratta lo è per tema e atmosfera, destabilizza e inquieta come ogni buon slasher e lascia riflettere il giusto quanto un film di denuncia. Romero aveva già demolito con i suo zombi le certezze della società americana e con questo suo film, senza magari arrivare a quegli stessi livelli, ripropone il suo pensiero…se Martin è un vampiro lo è del sangue putrefatto di umani senz’anima o, peggio ancora, ben pronti a comprarne una, con il benestare della religione e delle convenzioni ipocrite con cui si imbelletta.
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