giovedì 13 marzo 2014

Il pozzo di Satana - Kaidan semushi otoko (H.Sato, 1965)

Uno di quelli che hanno visto in pochi, di quelli che difficilmente troverete in rete. Questo è un film che un collezionista tiene stretto e che un cinefilo “deve” aver visto. La ragione di tanto mistero?…facile a dirsi: è un horror gotico del 1965, in puro stile italiano ma con attori e produzione giapponese (se non l’unico nel suo genere certamente è una rarità). Si intravede Margheriti, si respira Bava. C’è una grande casa, fantasmi e un mistero…cosa chiedere di più? Diciamolo subito…non è una capolavoro per trama e ritmo, ma il meraviglioso bianco e nero e una fotografia che definirei sublime bastano già a consigliarne la visione. Chi è cresciuto a pane e  film della Hammer o chi si pavoneggia nel riconoscere da un solo fotogramma una pellicola horror vintage griderà al plagio ad ogni cambio di inquadratura: Questo era in Sepolto vivo di Corman! Questa inquadratura è pari quella di Freda ne I Vampiri!…e avanti così. Passiamo oltre e perdoniamo le porte che si aprono da sole o il “tenero” e “ingenuo” filo nero che troppo evidentemente tiene sospeso il finto corvo che attacca la protagonista e ci “divertiamo” a sorprenderci nel vedere nel ruolo che sicuramente sarebbe stato della Steele dei tratti così tanto esotici per quelle atmosfere gotiche. Una recitazione così diversa, una gestualità marcata ed eccessiva che a noi, superficiali e occidentali, può sembrare a tratti grottesca, ma che da un sapore tutto particolare all’opera. Capiamo dai gesti e dalle “smorfie” degli attori che ci deve essere sfuggito l’ennesimo riferimento a qualche simbolismo caro alla cultura nipponica e troppo facilmente affermiamo che quella recitazione apparentemente mono espressiva, affine alle maschere del teatro Kabuki (vedi la scena della medium posseduta dallo spirito del defunto marito della protagonista), ci lascia perplessi…assolutamente perplessi. Il doppiaggio è di buona fattura, ma non riesce, e mai potrebbe riuscirci, ad allinearsi a quel particolare movimento del capo o a quel velocissimo e sostanziale sguardo. Ma una cosa, occidente o oriente che sia, non cambia mai…quelle tre o quattro circostanze base che fanno sempre, sempre paura. Come diceva Bava in una sua famosa intervista, una tenda che si muove, un ululato sinistro, il colpo secco di una porta che sbatte o il buio sono le cose per cui sempre si avrà paura…quasi fossero le giuste scintille per far divampare il fuoco del vero panico. Di queste il film in questione ne fa un uso spropositato, sempre avvertiamo la presenza sinistra dietro una porta, sempre l’attrice protagonista sentirà ululati di vento o di spettri e tutto questo, se pur con tanta difficoltà per i nostri smaliziati occhi, provoca spavento. Leggermente colpito dai rimontaggi nella distribuzione italiana e ridicolmente (ma era vizio comune) farcito di nomi americanizzati per interpreti e maestranze il film gode di una buona fama tra i cult del genere, ma prima di ogni altra cosa è pieno di buone ragioni per meritare una visione…non fosse altro per la certezza che quest’opera non avrà mai “l’onore” di una distribuzione televisiva, fosse anche nel pieno della notte, in un canale di provincia. Questa la trama: Una vedova va nella villa dove il marito aveva iniziato a dare segni di follia e che dopo la morte di quest’ultimo ha ereditato. Scoprirà che è infestata da uno spettro che possiede il servitore gobbo. Una maledizione circonda quella casa, legata alle vicende del suo primo proprietario.

Nessun commento:

Posta un commento