Appena un anno dopo uno dei film più cult del cinema...appena un anno dopo quel "Blob, fluido mortale" che per i patiti dello sci-fi era e rimane il riferimento(siamo nel 1958), Freda e Bava pensano, progettano e portano a conclusione quello che per il nostro paese è forse il film che pose le basi per l'archeology/horror e non solo. Blob sconvolse l'America, pur non essendo un film superbo contribuì a marchiare per sempre il gusto degli americani, che da allora non potranno più fare a meno del filone "catastrofista"…quello che non "manca" mai il botteghino. Il nostrano "Caltiki, il mostro immortale" è magari povero in fantasia, l'idea della massa informe che minaccia il mondo è veramente una copiatura spudorata, ma è indispensabile da conoscere per la sua modernità e il suo evidente bagaglio di maestranze e geniali artigiani del cinema italico. Robert Hampton (Riccardo Freda) e Joan Foam (Mario Bava) sono firme importanti e non si può negare la tanta curiosità per un cinefilo di poter godere di un lavoro che li ha accomunati sul set. A dire il vero si racconta di una antipatia di Freda per questo film, lui, abituato ai suoi peplum e storici, rimase inizialmente affascinato da quel richiamo all'archeologia e ai miti Maya, ma poi capì che doveva lasciare più spazio a quel suo geniale assistente e tecnico degli effetti speciali che aveva una visione del film più moderna e tanto avanti per i tempi che il cinema horror italiano non tardò a proclamarlo "maestro"…sua maestà Mario Bava. Ricordando che siamo nel 1959, trasecoliamo per tanta bravura, nel vedere i perfetti corpi mummificati dal mostro (insuperati per decenni) e nell'uso furbo e leggendario della trippa bovina (avete capito bene) ad interpretare l'orribile massa al servizio di Caltiki, un informe mostro risvegliatosi dopo più di 1300 anni. Quest'ultimo è ancora oggi per antonomasia il colpo di genio nel campo degli effetti speciali…tutti ancora lo citano, tutti, veramente tutti, lo conoscono…e alcuni addirittura lo ritengono una furbissima e mai esistita bufala. Tornando al film..ovviamente è ben lontano dall'essere un capolavoro, è uno sforzo lodevole ma non un prodotto riuscito fino in fondo. Pecca in sceneggiatura e rimane banale e piatta la recitazione. Il tutto si riduce a buoni spunti e tanta buona volontà. Credibili e ben spiegate sono invece le teorie scientifiche. In una cosa eccelle quanto negli effetti speciali, la fotografia. Tanto ben fatta che sembra più adatta ad un noir americano, tutto fumo di sigarette e lampioni, che ad un horror sci-fi, povero e artigianale. Film ottimamente venduto all'estero e apprezzatissimo dai critici statunitensi. La maggior parte delle copie ancora in circolazione sono viziate da qualche taglio di censura, ottuso e ingiustificato. La trama: Due esploratori e scienziati scoprono, dopo un'eruzione vulcanica, un antro segreto nel cuore di una montagna messicana. Qui trovano una lago e la statua maya della dea della morte, Caltiki…questa, risvegliata, porterà a termine la sua maledizione grazie ad un mostro che farà emergere dal fondo del lago. Una massa informe che uccide e mummifica chiunque gli capiti a tiro.
mercoledì 29 maggio 2013
lunedì 20 maggio 2013
Lèvres de sang (J.Rollin,1975)
Un bel tipo Jean Rollin. Artista e genio per alcuni, furbo e poco capace per i più. Diremo di lui che raramente prese la cinepresa con l'intenzione di fare un film. Diremo che volle dar vita a qualcosa di più simile ad un quadro che ad un set cinematografico. Colori, equilibri e spesso lentezze affini all'immobilità rendono l'opera del nostro (odiatissimo) regista francese un genere tanto estremo e peculiare da non poter non sollecitare la curiosità del vorace cinefilo. Se il film ha una qualche possibilità di essere etichettato come horror è solo e soltanto per la presenza di qualche elemento tipico del nostro genere preferito. Vampiri e castelli, un qualcosa di gotico e misterioso che ci riporta ai film conosciuti, ma subito li abbandona per un gusto onirico e surreale tutto suo. Inizia con un sogno romantico, un uomo riconosce in una foto un paesaggio ed un maniero che furono importanti e segnarono il suo essere adolescente. Rivuole quel sogno e quelle sensazioni, e quella ragazzina conosciuta tanti anni prima. Quella ragazza ora come allora ha un segreto da nascondere…E' obbligatorio precisare che il film presenta numerose scene di nudo, quasi si spinge al soft-core, ma considerate le atmosfere e la volontà di destabilizzare del regista, non risultano quasi mai fuori luogo, rimanga comunque un avvertimento per chi non desiderasse tanta "schiettezza". Dialoghi lenti ed essenziali che non rischiano di distrarci dallo sforzo di dover spesso intuire il senso di sequenze quasi mai dirette nel significato. Supplisce alla carenza di parole un continuo sforzo da parte di Rollin di dirci molto con immagini e inquadrature, strettissimi primipiani e buona maestria nell'uso delle luci, soprattutto nelle scene in esterni e in notturna. Personalmente trovo fastidiosa l'interpretazione del protagonista maschile (Jean-Loup Philippe), spesso presente nei film di Rollin, ma in questo, eccedendo con quell'aria trasognata e quasi beota, non porta nulla al film e quasi ne ridicolizza alcune scene. La trama poi si arricchisce di un ulteriore complicazione..la ricerca del protagonista, ossessiva ricerca, di quel luogo d'infanzia, sembra essere ostacolata da una qualche organizzazione, qualcuno non vuole che ritorni a quei luoghi e a quella bellissima giovane donna. Ovviamente volerne riscontrare simbolismo e metafore è gioco facile. E' come se il regista desiderasse mettere l'individuo dinanzi ad una verità destabilizzante…pone quel che dovrebbe sembrarci il male in aiuto al protagonista, una sorta di protezione, e tutto quello che dovrebbe essergli familiare e sicuro sembra trasformarsi in minaccia e complotto. Cosa è successo in quella notte di 20anni prima al castello e chi è quella donna che lo fece innamorare ancora bambino? Perché ora lo cerca e sembra richiamarlo a se? L'avrete già capito...inspiegabilmente ritroveremo quel che nessuno crederebbe mai di trovare durante la visione della prima parte del film….un amore romantico. Una grande storia d'amore dissimulata in un horror patinato e dall'erotismo raffinato. La bellezza di un amore eterno, la bellezza immortale rappresentata dal vampiro e la scelta estrema di vivere quel sentimento assolutamente. Solo due amanti che viaggiano eternamente, per luoghi e per tempi. La trama: Durante una festa un giovane uomo riconosce nella foto di un poster un luogo importante della sua infanzia. La ricerca di quel luogo risulta difficile ed inspiegabilmente ostacolata da quanti lo circondano. In particolare la madre della ragazzo è quasi ostile e vuole convincerlo di immaginare tutto e che tutti i suoi ricordi siano frutto della prematura perdita del padre. Ma strani fenomeni avvengono quando la visione di una ragazza che il protagonista aveva incontrato in quelle stesse rovine, lo guida passo dopo passo verso quei luoghi. Rovine che furono luogo di vampirismo e male, ma che diverranno, dopo un finale gotico e non banale, l'inaspettato luogo dove vincerà l'amore…eterno e non umano.
lunedì 13 maggio 2013
Il profumo della signora in nero (F.Barilli,1974)
Uno strano vicinato, relazioni sociali quasi solo di maniera e una storia nella sua infanzia mai affrontata e risolta. Questo è la vita di Silvia Hachermann (Mimsy Farmer). C'è odore di macabro e di ambiguo in ogni fotogramma del film, ogni dialogo e ogni sguardo sembrano sleali o, ancor meglio, sembrano celare un mistero e un inganno. Impossibile non scorgere le atmosfere di Rosemary's Baby, alla Farrow (l'acconciatura e la somiglianza tra le due attrici è quasi eccessiva) ...è più che un semplice omaggio a Polansky (con tanto di carrozzina verso il finale). Un confronto che spaventerebbe chiunque, ma Barilli ottiene un suo stile ed un apprezzabile risultato. Ovviamente il livello è molto diverso e inferiore, ma, trattandosi di un'opera prima, si lascia apprezzare per coerenza stilistica e buon uso della camera. Grande, grandissimo pregio del film è riuscire a catturare fin dai primissimi minuti tutta l'attenzione e la curiosità dello spettatore. Ammaliano le luci, la fotografia, ma prima di ogni altra cosa quella evidentissima sensazione di "non detto inquietante" che insaporisce a dovere e stuzzica i palati più fini. Oggetti, foto e feticci infantili, pur non svelando i loro segreti, accompagnano le giornate dell'infelice Silvia, che sembra lontana con la mente e aliena e passiva allo scorrere della sua esistenza. Le musiche di Piovani, belle e adeguate, seguono alla perfezione personaggi e fotogrammi, ne accentuano l'efficacia e fanno di questo bel prodotto horror-thriller un ottimo esempio di artigianato italico. Un complotto di fatti e personaggi, la vittima è la nostra protagonista. Figure ambigue che tramano e nulla fanno presagire di buono. Stregoni, magia nera e cannibalismo si aggirano in una Roma benestante e forse annoiata dall'agio. Di spessore la recitazione e credibile la Farmer, un Mario Scaccia surreale ed educatamente ambiguo, che ama gli ippopotami (?) e vive solo. Quindi..un buon esordio per Francesco Barilli, già attore per Pietrangeli e Bertolucci e ora al suo primo film da regista…mai veramente amato dalla critica. Critica che non perdona mai, almeno nell'immediato, fatto salvo il rivedere il giudizio dopo decenni nei vari festival di "riscoperta", le buone opere prime, quasi si dovesse stroncare a prescindere un giovane con poca esperienza…anche i critici cinematografici hanno il loro "personaggio" da dover mantenere. Si dovesse cercare un difetto si potrebbe dire di una ricerca eccessiva nel voler sorprendere chi guarda, repentini cambi di campo e inquadratura, banale e strausata tecnica, degna più dell'horror da botteghino che di un buon film come questo. Purtroppo Barilli non si ripeterà, non avrà altro da dire al cinema come regista. Questa, in fondo, la differenza vera tra un grande della settima arte e un buon cineasta, la costanza nel fare buoni film è ben più rara che azzeccare il primo e poi poco più. Rimane questo bel film, con momenti che ricorderete come tra i più inquietanti per un thriller e un finale molto ben riuscito, poco scontato e decisamente splatter. Merita una visione per tutti e un sicuro approfondimento per i patiti del genere. La trama: Perseguitata dai fantasmi e dai traumi della sua infanzia, Silvia diventa un'assassina, o almeno lo crede: chi le sta attorno, infatti, complotta alle sue spalle.
lunedì 6 maggio 2013
L'inquilino del terzo piano - Le Locataire (R.Polanski,1976)
Senza aver letto un minimo di trama prima della visione del film, nei primi minuti del girato, saremmo tratti in un inganno colossale. Scorgere solo una semplice diffidenza nell'atteggiamento di quei strani personaggi che il nostro protagonista (lo stesso Polanski, regista e anche attore) incontrerà è tanto ovvio quanto giustificabile, eppure la verità non è solo questa, eppure tanto ancora la storia ci dovrà sorprendere e, senza esagerare, sconvolgere. Un timido e impacciato piccolo impiegato, un polacco con passaporto francese, vorrebbe affittare una casa…modesta e fin troppo cara. Conosce una schiera di strani individui, annoiati e in perenne crisi di nervi. Tutti ingredienti ben soppesati per cucinare una visionaria commedia nera, che poi arriverà al drammatico e, sorprendentemente, all'horror. Intendiamoci, trattasi di una patina di horror, raffinato e di quelli che chiamiamo tali solo per la netta e costante sensazione che un terribile coup de theatre darà presto sapore alle visione. Il personaggio che Polanski si cuce addosso è complesso e pari a quelli che la settima arte dona a volte alla storia del cinema…icone indimenticabili. Il film scorre con un ritmo mai lento e mai nessuna scena è solo riempimento banale, la cura è maniacale e superiore a quello che richiederemo alla stessa quotidianità. La notte è il mondo del vero Trelkovsky (il protagonista), la notte è solo, la notte è rivincita e sconfitta. Tutto avrà inizio quando il nostro "simpatico" polacco comincia ad indagare sui ricordi e tra gli oggetti che la precedente inquilina del suo appartamento, suicidatasi gettandosi dalla finestra di quella stessa casa. Stranezze incomprensibili e spesso inquietanti. Ora ha un segreto, deve difenderlo contro quell'orda di vecchi bacchettoni, quei vicini allarmanti e minacciosi che, come in Rosemary's Baby, rappresentano un male strisciante e subdolo, che sfianca il "diverso", che ghettizza e annienta. L'animo di Trelkovsky sprofonda in un mondo parallelo e buio, simboli esoterici e una sfuggevole logica offuscano di brume la nostra voglia di capire. Polanski gioca con chi assiste al suo film, usa la novella da cui il lavoro è tratto come meglio desidera e rende "cinematografo" ogni singolo frame. I vicini, chi vive intorno a noi e ci dorme nella casa accanto, che scruta le nostre insonnie sono "vampiri". Sono vampiri, nel senso che prosciugano di linfa vitale chi è strano, strano perché è un normale. Buone e innovative sono anche le tecniche di ripresa, ben architettati piani-sequenza arricchiscono un film molto ben fatto e inaspettatamente…agghiacciante e raccapricciante tanto quanto i migliori horror. L'inquilino del terzo piano non arriva ai livelli di Rosemary's Baby, ma non è sbagliato considerarlo un ennesimo capolavoro del famoso regista polacco, geniale e perfetto quanto deve e che fa sembrar facile filmare l'impossibile. La metamorfosi (perdonate il piccolo "spoiler") del nostro protagonista è di una sensazionale bellezza, il gorgo che inghiotte l'anima del giovane Trelkovsky è degno di un libro di psicanalisi, e lo stesso film non sfigurerebbe certo tra i titoli da proporre per analisi a studenti di sociologia e psicologia. Due righe per decantare la bellezza della Adjani, perfetta per il ruolo e diretta in modo eccelso. Film che incarna lo spirito "orlokiano" come e meglio di altri…è un horror dell'anima, un horror ricercato e quasi subliminale. La trama: Un impiegatino polacco,Trelkovsky (Polanski), affitta l'appartamento di una suicida in uno stabile parigino popolato di vecchiacci inquietanti: in un crescendo persecutorio e surreale Trelkovsky cercherà di ripercorrere la sorte di chi l'ha preceduto.
giovedì 2 maggio 2013
Onibaba - Le assassine (K,Shindo,1964)
Tra le varie accezioni che un horror, quello classico in particolare, può avere, questo vale almeno per chi scrive, dobbiamo includerne una tra le più qualificanti…l'horror d'inquietudine. Definizione inventata e non ufficiale, ma, come vedremo, è quanto spesso ha funzione portante in tutti i migliori film di questo "genere". Un vento furioso tra i canneti, assolo sferzante e straziante di un sax e un B/W asfissiante…così ci viene introdotto il film nei titoli di testa. Dopo tanto notevole "benvenuto" assisteremo ad una scena apocalittica, una di quelle che non sfigurerebbero in quei film "catastrofistici" tanto cari oggi ad Hollywood. Due samurai giapponesi, presumibilmente durante le sanguinose guerre medievali, vengono braccati da nemici a cavallo e si rifugiano, uno di loro è gravemente ferito, in un alto e fitto canneto. Persi e stanchi cadono stremati al suolo e il loro destino sembra ormai segnato…due lance li trafiggono a morte e due silenziose e animalesche figure si avventano come corvi sui loro cadaveri per spogliarli di tutto e gettarli in una voragine del terreno (che scopriremo essere una delle vere protagoniste del film). Il male che arriva nascosto e minaccioso tra le canne di quel campo, i gesti adatti e a perfetta imitazione di quello dello sciacallo, portano il livello di tensione emotiva ad essere altissimo già nelle prime inquadrature del film. Poi è la violenza raccontata della guerra, la violenza dei rapporti segnati dal bisogno di sopravvivere a prendere il sopravvento. Come cani affamati i personaggi popolano le scene del film, gli sguardi sono truci e diffidenti e in attesa di morire di fame o in guerra, questo è l'unico pensiero che governa le loro giornate. Onibaba non è assolutamente un film horror, ma come non temere il degenerare dell'animo umano e come non sentirsi minacciati, tanto quanto da un'ascia o da una motosega, dall'odio nello sguardo di chi deve uccidere per vivere e cerca umanità dove l'umanità è morta? In quella palude di acqua e fango, dove la fame è filosofia, considerare chi è tuo alleato o tuo nemico è difficile quanto volare. Poi ci sono i bisogni, quello del sesso dopo aver saziato quello per la fame. La delicata solidarietà che esisteva nel doversi dare mutuo appoggio per sopravvivere si scioglie come neve al sole quando un piccolo privilegio, fosse anche uno sguardo complice, ti rende "più" del tuo compagno. La giovane ragazza è un bottino come un altro, è il soddisfare di un bisogno per l'uomo e fonte di invidia per l'anziana suocera. Film di notevole bellezza e di difficilissima interpretazione…film che nutre i mostri del nostro egoismo e genera terrore per il solo motivo di non volersi mai scoprire come quei personaggi. Sublime la fotografia, richiami espressionisti e contrasti di luci e neri suggestivi. Dialoghi essenziali e ben misurati e recitazione come meglio non si potrebbe. Perfette figure teatrali, ai margine della guerra, che ne raccolgono i frutti marci e che barattano la loro umanità con una cinica sopravvivenza. La paura per le fiamme dell'inferno che spettano ai peccatori, gli spiriti e i demoni sono l'arma per frenare una libertà pericolosa…Non si vede orizzonte oltre quel canneto, solo il fondo di un pozzo. Un microcosmo, un pianeta deserto da farcire di regole e tabù per "governare" l'altro e sottometterlo. La trama: In un passato imprecisato, nel corso di una guerra che sembra non finire mai, suocera e nuora vivono uccidendo soldati feriti e spogliandone i cadaveri; l'arrivo di un disertore scatena la gelosia tra le donne La più anziana si impossessa della maschera demoniaca che ha preso a un samurai per spaventare la più giovane e impedirle così di abbandonarla, ma il suo piano avrà conseguenze inaspettate…quella maschera è forse di un vero demonio.
Iscriviti a:
Post (Atom)