martedì 9 aprile 2013

Gli orrori del castello di Norimberga - Baron Blood (M.Bava,1972)

Nel film horror, in quello classico prima di ogni altro, un importante ruolo è dato alla location...al set. La scelta del "dove girare", del dove "incastonare" gli attori per rendere credibile il racconto era, ed è, cosa fondamentale. Nei film in costume risultava ovvia, per non dire scontata, fin dai primissimi del genere, la scelta di un qualche antico maniero, di un castello isolato, già da solo fonte di sgomento. Tutti, compreso Bava (regista del film di cui parliamo) hanno percorso quella strada...era tutto un susseguirsi di streghe, castellane con la sola occupazione nella vita di svenire al comparire di una loro antenata o di un nerboruto fantasma (sempre estremamente somigliante al giovane fattore), mai così tanto "orrendo" dal dover essere allontanato dalle loro alcove. Poi si sentì il bisogno di passare oltre quei copioni, che rischiavano seriamente di ripetersi e somigliarsi sempre più spesso, che non lasciavano abbastanza spazio alla fantasia di sceneggiatori e registi con tanto talento da non poter essere contenuto in quelle ormai usatissime atmosfere. La nuova ricetta era: un belloccio di moda (qui un tale Antonio Cantafora, dalla recitazione ingiudicabile), qualche nome da scrivere con caratteri cubitali nelle locandine (Massimo Girotti) e, ovviamente, una bella donna da salvare, magari fornita di vertiginose minigonne, certo impossibili da far indossare alla Steele nella Maschera del demonio e ora spendibili più facilmente, tanto per ampliare il numero degli "estimatori" di un genere che stava sdoganandosi dall'essere solo e soltanto un Bmovie di nicchia...tutto questo ambientato nel contemporaneo, circondati da auto di grido e oggetti di design e da vestiti firmati. Tutto questo per portare quelle atmosfere gotiche, fatte di muffe e antiche sepolture, in un contesto diverso, rendere ancora più affascinate quell'antica paura, fatta di credenze popolari e leggende, mettendola ora a contrasto con una modernità che dovrebbe averla definitivamente sconfitta, ma che inevitabilmente ne rimane "stregata". Quindi è un castello il protagonista del film, alcune vecchie mappe che porteranno i due attori principali a scoprirne i segreti. I rumori nella notte sembrano i respiri stessi di quella dimora. Bava in questo è bravo e con mestiere rende tutto più che affascianante, ma non raggiungerà la vetta di un bellissimo film di Robert Wise (Gli invasati) dove mura e porte prendono letteralmente vita e hanno un ruolo fondamentale nello svolgersi della storia. Identica nei due film è una scena: dove la porta si deforma sotto la diabolica spinta del sanguinario Barone tornato dal passato, uguale in inquadrature, luci e durata. Effettivamente una delle meglio riuscite nel film di Wise e non certamente un caso (noi lo chiameremo "un omaggio", per l'affetto verso il maestro) che la si ritrovi in questo film di Bava. Quel che è originale e firma nei lungometraggi che Bava gira nei '70 è una strisciante ironia nella scrittura dell'opera. Sembra quasi suggerire allo spettatore di non prendere troppo sul serio quel che sta vedendo, di giocare con la sua volontà di spaventarlo, di relegare quelle figure orripilanti in quello che è il loro giusto recinto...un gioco per far paura e per sorriderne subito dopo insieme, come i macabri racconti che i ragazzi inventano per il solo scopo di impaurire il più timido della compagnia. Questo sembra volere Bava, in questo come nei film che lo seguiranno...vuole sedersi con lo spettatore e raccontare un storia, un racconto del terrore, dove fanno la loro parte la voce , i suoni e le maschere più che un realismo inutile e molto meno credibile della stessa finzione. I fedeli estimatori del più celebre regista horror italiano (e parlo di Bava padre, ovviamente) non perderanno poi il richiamo che lo stesso fa all'incipit di uno dei suoi più famosi lavori: La maschera del Demonio...li dove la Steele viene inchiodata ad un palo mediante gli aculei di ferro di una maschera, qui invece è uno sventurato Luciano Pigozzi (il Lorre italiano, somigliantissimo) ad essere assassinato con l'ausilio di una Vergine di Norimberga (da cui il titolo) con una inquadratura del tutto simile, scena quella che consacrò la Steele regina dell'horror italiano. Modernissimi gli effetti di luce e sorprendente quanto con quel poco si sia riuscito ad ottenere (uno per tutti l'inseguimento della giovane protagonista nei vicoli bui del paese   rincorsa dallo spettro del barone, psichedelica e a dir poco suggestiva sequenza alla Bava). Intriganti passaggi dal buio alla debole fiammella di un lume che svelano presenze e amplificano la sensazione di angoscia che ci toccherà percepire per buona parte del film. Ultime note le dobbiamo a due degli attori. Uno è Joseph Cotten, che interpreta due personaggi, lui e i suoi malefici occhi sono il filo che tiene stretta la trama del racconto e sua è una delle migliori prove nel film. Altro da dire c'è per la piccolissima e brava interprete della figlia del professor Hummel, Gretchel nel film e Nicoletta Elmi nella vita. Tanto brava e tanto esattamente rispondente a quella fissazione di Bava che vedeva nei bambini sia la perfetta sintesi che l'antitesi del male, da girare con il maestro anche Razione a catena e Profondo Rosso con Argento, fino a Demoni, sempre con Argento, 10 anni dopo. Conosciuta ai più per la sua partecipazione alla serie tv anni '80 I ragazzi della 3°C...ma quasi una piccola icona per gli amanti dell'horror classico italiano. Musiche di Stelvio Cipriani da dimenticare. La trama: Un barone sadico dal volto sfigurato viene riportato in vita dai soliti incoscienti: il suo strumento di tortura preferito è la Vergine di Norimberga. Chi ha avuto colpa nel riportare lo spettro alla vita deve ora trovare il modo per farlo tornare nel regno dei morti.