venerdì 25 aprile 2014

Moby Dick (J.Huston,1956)


“Questo film è una bestemmia, nessuno l’ha mai capito”… così diceva del suo Moby Dick John Huston, sottolineando una delle tante chiavi di lettura, quella antiautoritaria e anticlericale, che ha il romanzo di Melville  e di conseguenza il suo film. Magari considererebbe allo stesso modo la forzatura di marchiare la sua opera come un horror di quelli presenti in questo blog. Eppure, anche consapevoli della probabile assurdità  del fatto, qualche ragione c’é. Arriverei a definirlo un gotico tra i più classici. Le montagne sono ora onde gigantesche e i castelli sono diventati una grande baleniera, tetra come un maniero tra le brume e “abitata” anch’essa da un dispotico padrone. E’ horror perché Moby Dick è uno spettro, un demone bianco da temere quanto un’orda di zombi affamati. L’aria sul Pequod è densa e malsana come nella taverna che ospita Hutter prima di conoscere Nosferatu. Achab attende la sua balena bianca con la stessa ansia con cui Van Helsing apre la bara di Dracula per ucciderlo, la vede emergere dal suo sarcofago d’acqua con la medesima regale arroganza. Ma quello che rende più di ogni altra cosa il film un’icona horror è la sconfinata voglia del capitano Achab di affrontare le sue paure. Certamente incarnate nel corpo di quell’enorme mammifero ma contenute tutte nella sua anima nera e vendicativa. Egli ha il suo “mostro” davanti agli occhi e la paura è appena minore della sua voglia di rivalsa. Huston e Peck questo hanno in mente nel dare vita alle parole del romanzo di Melville, un uomo che affronta un mostro sovrumano e che arriva a scoprire che il mostro è lui stesso e la sua smisurata malvagità…e questa, a ben vedere, è la trama di base di quasi tutti gli horror classici più conosciuti, spesso è l’uomo e la sua disumanità a portare ansia e orrore in quei film che tanto amiamo, molto più di qualsiasi dente aguzzo o pallore di fantasma.  Di Achab e della sua follia hanno paura i suoi uomini, di Moby Dick hanno paura tutti. Non perché la mole li spaventi, sono marinai capaci e tutto sommato è solo una balena, ma perché quella stessa paura li rende uomini…hanno bisogno del mostro per affermare se stessi. Riportare tutto questo dal libro in un film sembrava cosa immensa quanto il soffio della bestia, eppure la fotografia, la recitazione e l’ottima regia riescono nell’impresa. Il film è epico, quasi biblico e colmo di scene memorabili e personaggi che rimangono compagni di una vita dello spettatore, come  lo sono stati dopo averli letti e conosciuti nelle righe dell’immortale romanzo di Melville. Fare un bel film avendo a disposizione un soggetto come il libro in questione è un gran bel vantaggio, direte voi, e invece farebbe tremare i polsi di qualsiasi regista. Adulterare le atmosfere e banalizzarle è un rischio troppo grosso e ci vuole coraggio da baleniere per affrontarlo e vincere come succede a Huston. Del suo bel film nessuno dimentica il cameo di Orson Welles che declama la sua omelia nella Cappella del Baleniere da un pulpito con le forme di una prua di nave, nessuno dimentica la bellezza di quei rudimentali effetti speciali che ben rappresentano il mostro bianco e la caccia a metà dell'800, nessuno dimentica i frame che immortalano Peck/Achab legato per sempre al ventre del suo aguzzino…finale perfetto di un horror dove il buono non vince o dove meglio ci si rende conto che il buono spesso non esiste e che l’enorme bestia bianca è la paura ancestrale dei limiti umani, paura che partorisce streghe, vampiri e Moby Dick…il tipo di paura che ha segnato il successo di ogni film horror degno di questo nome. La trama credo (e spero) che risulterebbe superflua, quindi non spreco altre righe, se non per invitarvi a vedere il film e ancor più a rileggere il romanzo.

sabato 19 aprile 2014

Il plenilunio delle vergini (P. Solvay,1973)

In quel di Balsorano (AQ), in un castello del ‘500..Mark Damon (che aveva già iniziato a dividersi tra il ruolo di attore e di produttore) porta tutto il cast di questo film, un erotic-horror tra i più tipici. Aveva convinto tutti millantando l’interesse di una casa di produzione cinematografica americana. Nessuno però vide mai alcun rappresentante di questa fantomatica agenzia e tutti pensarono che, pur di realizzare questo progetto, fosse lo stesso Damon a tirar fuori il denaro…il film comunque si fece e qualcosa (poco) di buono ne uscì. Agli inizi degli anni ’70, l’eros che solo velatamente aveva contaminato l’horror italiano degli anni ’60, invase tutte le produzione di genere, almeno tutte quelle che volevano avere un minimo di “successo” alla cassa. Nessun altro genere come l’horror si prestava, e da sempre, a questo e tra i tanti sottogeneri il vampirismo riusciva in questo più di altri. Di fatto perché nella genesi stessa dei primi vampiri era già presente l’eros come peculiarità del personaggio, donna o uomo che sia. Donna, vampiro, indipendente e bisessuale era Mircalla…prima ancora della celluloide lo era nei libri (è presente in un racconto del 1872) e rimane ancora insuperata, anche dai tanti “colleghi” maschietti. Qui, nel film di cui parliamo, il ruolo della vampiressa assetata e ammaliatrice è di Rosalba Neri. Fascino ambiguo, bellezza particolare e con qualche dote da attrice. Non basta certo la Neri a risollevare le sorti di un film tutto sommato modesto, ma quello che non ha potuto la protagonista, la storia e la regia ha potuto una sola scena (unico motivo di questa recensione). Pochi fotogrammi che per gli appassionati di horror gotici e ancor più per quelli che amano i film con i “denti aguzzi” rimane evocativa quanto l’incedere di Bela Lugosi diretto da Browning. Nella scena in questione la Neri riemerge da una vasca dorata, completamente ricoperta di sangue e completamente nuda. E’ regale come deve essere la moglie di Dracula (in carne, ossa e sangue!!) e rappresenta perfettamente tutto il personaggio. Fotografata e ripresa con tanta maestria che appare perlomeno evidente quanto quella scena debba essere piaciuta a tutte le maestranze del film oltre che al pubblico. Si stenta a sopportare i momenti in cui la trama perde del tutto consistenza e Damon non ha quasi espressività e considerando che si ritaglia, il soggetto è anche suo, ben due personaggi da interpretare a volte arriverà a sfidare la pazienza di tutti. Se vi bastano le (numerose) scene al limite del soft-core che farciscono la pellicola nulla vi importerà della pochezza di trama e attori…ma questo avrebbe senso se lo avessimo visto il film al momento della sua uscita (1973), ora risulta datato anche nell’eros che contiene. Questa che segue è la trama, ma ricordate che il film in questo ha poco da dire e ha senso cercarlo e vederlo quasi solo per quell’unica scena: L’archeologo Karl Schiller è attirato dalla leggenda dell’Anello dei Nibelunghi, un oggetto che garantirebbe il dominio sul mondo, già appartenuto ai grandi della storia nonché al conte Dracula. Il fratello gemello di Karl, l’intraprendente Franz, precedendolo in Transilvania, si mette sulle tracce del prezioso monile, queste lo conducono al castello della bellissima e sinistra contessa Dolingen De Vries, in realtà una vampira…

sabato 12 aprile 2014

5 tombe per un medium (M.Pupillo, 1965)

Uno dei tre film horror di Massimo Pupillo. Oltre a 5 tombe per un medium girerà Il boia scarlatto e La vendetta di Lady Morgan. La critica cinematografica si divide fortemente nel considerare Pupillo un valido rappresentante del gotico italiano. Per alcuni la sua bravura è cosa certa per altri non ha mai raggiunto, nei suo lavori, un livello accettabile per farlo emergere tra i tanti che si cimentarono nell’horror nostrano in quei lontani anni ’60…questi sbagliano. 5 tombe per un medium ha una struttura narrativa non sempre lineare e coerente. Nella prima parte, che sono lunghissimi 40 min, fatica ad interessare lo spettatore e il tema di fondo, una lettera scritta da un morto e una casa apparentemente infestata dallo spettro di quest’ultimo, è poca cosa sia per lo spettatore medio che, figuratevi, per i maniaci del genere. Non aiuta l’interpretazione che ci “regalano” gli attori chiamati da Pupilllo. Nessuno di loro crede al personaggio che interpreta e troppo evidentemente cerca di portare a termine la scena e la giornata nel miglior modo possibile…Steele compresa. Forzatamente, anche se dobbiamo riconoscere con un certo stile, vengono incastonati tutti i vari canoni richiesti dal genere in questione. Abbiamo il mistero, la casa spettrale, gli increduli avventori che dovranno scontrarsi con le forze del male e, in questo Pupillo ha messo particolare attenzione, il mostrare le grazie delle sue attrici. La Steele ci dedica un bagno di schiuma e avvinghia l’imbambolato notaio Morgan (Riccardo Garrone) con particolare perizia. Accenna a una carezza saffica con l'altra attrice, oltre la Steele nel film dobbiamo sopportare una inutile Mirella Maravidi, e infila una scena di quasi nudo troppo slegata dal contesto…ma questo era l’andazzo per tutti e anche questo faceva fare botteghino. Il film comincia a destare più interesse dopo che l’impiegato comunale, questa è forse la migliore caratterizzazione di tutto l film, scopre il nesso che lega le strane morti che hanno colpito il piccolo paese. Ora tutto è più chiaro e riusciamo a godere meglio della trama. Un medico, studioso dei lebbrosi e appassionato di occultismo, a un anno dalla propria morte usa i poteri medianici di cui è dotato per vendicarsi dall’aldilà (quanti film abbiamo visto con questo stesso tema? 50,100?) guidando telepaticamente un’ orda di untori morti 500 anni prima. A farne le spese saranno la moglie e alcuni altri suoi presunti amici che erano presenti nel momento della sua morte, questi nascondono  un segreto che li porterà ad una fine terribile. Il film sembra avere una svolta anche nello stile ora che ci è più chiaro dove cercare buoni e cattivi. Iniziano le morti violente, nelle intenzione del regista c’era molto più protosplatter (come testimoniano le scene extra contenute nei vari dvd in circolazione e probabilmente inserite in montaggi americani) e l’aria è malsana come deve. Ora apprezziamo meglio l’atmosfera che avvolge quell’antica casa (il castello Chigi a Castel Fusano) e andiamo verso il bel finale e le belle e originali riprese che lo caratterizzano, con un buon ritmo e la certezza di aver definitivamente rivalutato l’intero film. Controversi sono gli ultimi frame…talmente tanto assurdi che spero volessero essere una beffa bonaria di Pupillo ai danni dei suoi spettatori, un divertimento in stile finale de I tre volti della paura, così non fosse l’ultima scena è talmente tanto imbarazzante e quasi ridicola che potremo spiegarla solo con la fretta di chiudere e andare tutti a cena (ma son sicuro della buone fede di Pupillo…e opterei per la beffa). Massimo Pupillo nel film si firma con lo pseudonimo di Ralph Zucker, così come tutto il cast adotterà nomi stranieri per assecondare i gusti degli spettatori italiani normalmente diffidenti verso un film di genere con un cast nostrano, e l’avere usato questo particolare pseudonimo ha dato vita ad un divertentissimo equivoco. Quando nel 1982 il vero Ralph Zucher, che nella realtà era un produttore austriaco amico dello spesso Pupillo, morì per la critica (ovviamente la più superficiale e la meno informata) era morto anche il regista di 5 tombe per un medium. Ci volle qualche anno per svelare l’arcano, anche perché Pupillo non fece nulla per smentire la sua morte…atteggiamento assolutamente perfetto per un regista famoso per i suoi horror gotici. Per il sottoscritto Massimo Pupillo e i suoi horror hanno degno posto tra i più bravi registi di genere del nostro paese e, sempre per come la vedo io, di conseguenza ha un posto tra i migliori nel panorama mondiale…Italians do it better!


sabato 5 aprile 2014

La frusta e il corpo (John M. Old "M.Bava", 1963)

Il corpo è quello di Daliah Lavi, un corpo perfetto. La frusta la usa Cristopher Lee per punizione e per piacere sulla sinuosa Lavi. E’ un film di fantasmi, con poca trama e un finale, se non estremamente prevedibile, quasi ovvio. Girato in un Technicolor perfetto e sublime, quanto di più gotico possibile e talmente tanto d’atmosfera che si riesce a respirarla. John Old (per l’anagrafe Mario Bava!) voleva Barbara Steele per il film e nessuno di noi pensa che sarebbe stata una scelta sbagliata…poi in quell’anno Rondi girò Il Demonio e la bravura della giovane attrice israeliana (Daliah Lavi) non sfuggì a Bava. Era esotica, diversa e statuaria e quando si aveva il bisogno di dar vita ad un personaggio che spiccasse e si differenziasse dal resto del cast, questo per il film di Rondi fu vitale, affidare il ruolo alla Lavi era quasi obbligatorio. Attrice di buon livello e talento artistico a tutto tondo. Dopo aver smesso con il cinema ha avuto buon successo anche come cantante e non ha perso nulla del suo fascino. Quando nel 1963 La frusta e il corpo vide la luce suscitò tanto di quello scalpore che miglior pubblicità sarebbe stato impossibile. L’accennare, neanche tanto velatamente, ad un rapporto sadico tra i due protagonisti rende l’atmosfera ancora più carica di interesse e, insieme alla fotografia, fa tutto il film. Buona parte della pellicola è usata per riprendere Nevenka (Lavi) e il suo precipitare nell’abisso della follia. La trama, se pur debole, è svolta con buona cura e quel minimo interesse che abbiamo per sapere se quanto di quel che accade possa essere colpa di un fantasma o di un umano basta per portarci a finire il film. Ma lo ricorderemo per quei colori fantastici, per le luci e per l’ottima colonna sonora…perfetta, adeguata ed indispensabile opera di Carlo Rustichelli. Di livello è, tutto sommato, anche l’interpretazione dei vari componenti del cast. Oltre la Lavi troviamo un cattivissimo Cristopher Lee (Kurt Menliff) e Luciano Pigozzi. Alcune scene cult non si dimenticano (anche perché spesso le vedremo riproposte in tanti altri film del genere). Una per tutti: la mano di Kurt che cerca di afferrare Nevenka è talmente ben girata e fotografata da risultare effettivamente tridimensionale, e perfetta per essere oggi inserita in uno di quei film che puntano tutto sull’effetto speciale e sull’impressionare chi siede in sala con oggetti che “fuoriescono” dalla schermo, ecco..quella mano ha lo stesso identico risultato, ma 50anni fa, senza occhiali 3D e con molti molti soldi in meno a disposizione. Un genio è tale per sempre e riconoscerlo non può certo essere difficile quando parliamo di Bava. E’ l’erotismo, segno distintivo dell’horror classico italiano, a dare fiato vitale a questo bel gotico. Spavento e lussuria sono droghe che hanno portato alla dipendenza ogni singolo appassionato di questo genere. Le sottovesti trasparenti delle belle protagoniste femminili, che inevitabilmente cadevano tra le braccia di spettri o assassini, non potevano mai mancare, almeno quanto la pellicola nella telecamera. L’anima del film è il suo regista, è nelle mani sapienti dello stesso e di Terzano che si occuparono della fotografia. Gli amplessi che la frusta provoca alla bella Nevenka e la sua schiena nuda sono reali quanto lo può essere la perfetta finzione cinematografica…quella che non deve essere per forza “reale” ma deve provocare “reali” sensazioni. La trama in estrema sintesi: Nevenka è data in sposa a Christian, con un matrimonio, come tutti quelli combinati, privo d’amore. La sposa si rifugia così tra le braccia dello sgradevole cugino Kurt, tornato dopo un’assenza durata anni, con il quale instaura una relazione clandestina sadomasochistica. Il diseredato Kurt il suo posto all’interno della famiglia, anche ai fini di incassare la sua parte di eredità. Trova invece la morte a causa di una coltellata. Eppure sembra che il suo spettro continui a vagare, soprattutto per Nevenka, ancora vittima (a dire il vero molto compiaciuta) dei colpi inferti dalla frusta del suo amante.