sabato 25 gennaio 2014

Lisa e il diavolo (M.Bava,1973)

Che Bava potesse regalare fama mondiale (o quasi) alla Steele, che si elevasse a maestro del miglior horror italiano, o che il suo modo di far cinema arrivasse a trasformarsi in un neologismo (baviano), noi divoratori dei suoi film siamo ormai riusciti ad accettarlo…ma che il nostro “regista-icona” fosse anche lo stesso che, per la primissima volta, in un suo film avesse avuto l’intuizione di “conficcare” il celeberrimo leccalecca nella bocca di Savalas, questo ancora stupisce anche il più avvezzo dei suoi discepoli. Il film dove questo accade è uno di quei gioielli dimenticati che sono ora la felicità dei cinefili e motivo di vanto, ma che per strane e a volte ottuse scelte di produttori e finanziatori hanno rischiato l’oblio. Lisa e il diavolo è uno dei veri ultimi film di Bava, quando, ormai padrone della sua arte, gli viene naturale la cura del particolare e la manipolazione dei sentimenti dello spettatore. Ma come tutte le opere più pure di un artista, quelle dove il suo genio è più schietto e vero, avrà un destino ambiguo. Tanti non sopportano quel “onirico spinto” che pervade tutto il film o quelle scabrose tematiche (necrofilia e slasher-movie) che verranno poi completamente snaturate da improvvisati e furbi registelli post-baviani, tanti hanno ormai il palato semplicemente devastato dalle produzioni USA e per loro tornare ad assaporare l’arte nostrana sembrava provinciale quanto ordinare bucatini da Maxim’s a Parigi. Lisa e il diavolo è Bava in ogni fotogramma, è un regalo, una firma autografa a quanti lo amano. Dirige un cast variegato e lo “usa” al meglio, Savalas è demoniaco come nessun altro mai, la Sommer è algida e giusta nel ruolo (solo Bava poteva riuscire nell’impresa), Alida Valli da lezioni di recitazione a tutto il cast e la Koscina mostra i suoi “talenti”…ma la vera protagonista del film è l’uso della camera, dei controcampi e di quella sottile vena autoironica nel girare che sono riflesso e marchio del cineasta sanremese. Anche i vicoli di un paesino nella sabina (Faleria) riescono a trasformarsi nell’ingresso dell’inferno con Bava dietro l’obiettivo, anche l’immobile, per definizione, espressione di un manichino può “recitare” se glielo chiede Bava. Riassumere troppo brevemente la trama del film significherebbe sminuirlo, ma due righe possono servire: Lisa (Sommer) è una turista americana che si appresta a visitare Toledo in Spagna. Si perde per i vicoli della cittadina e incontra Leandro (Savalas), che ai suoi occhi è l’immagine vivente di quanto ha appena visto dipinto in un famoso murales intitolato “Il diavolo che porta i morti”…Lisa incontrerà ancora Leandro e lui riuscirà ad attirarla nella villa dove lavora come maggiordomo. Chi abita quel palazzo, e con loro anche Lisa, dovrà fare i conti con la malvagità beffarda del demonio in persona e con le loro storie passate. Parlavamo della poca fortuna (in patria soprattutto) del film, e di pochissima fortuna sarebbe più giusto parlare visto che l’opera, che è del 1973, ha la sua vera distribuzione da noi, con il parlato in italiano, solo nella primavera del 2004 (30anni dopo!), vittima di una scelta perlomeno assurda del suo produttore…Alfredo Leone. Il quale non solo ha “ucciso” questo film, ma ha anche operato una sorta di sacrilegio obbligando, senza riuscirci fino in fondo, a rimontarne, per un secondo film, le scene, inserendovi personaggi e sequenze più moderne (a suo vedere) e che rispecchiassero i gusti dei giovani fruitori di un certo tipo di horror allora in voga oltre oceano. Da questo calderone ne uscì un mostro intitolato La casa dell’esorcismo (1975) dove il godereccio spicciolo prese il posto dell’eleganza baviana e le scopiazzature fatte al successone del momento (L’esorcista, 1973) lo portano al limite dell’offensivo. Ma dopo tutte queste peripezie quel film voluto e girato da Bava esiste ancora…un film che magari pecca anche di qualche ingenuità nella trama, che forse nella volontà del regista voleva essere il manifesto della sua disillusione per il mondo del cinema (ormai ridotto a schiavo dal dio “botteghino”), o che non può essere facilmente consigliato a chi non ha debitamente visto i lavori precedenti del regista…ma nonostante questo e il suo snobbissimo autorale in un mondo di mediocri…nonostante questo Lisa e il diavolo conferma ancora una volta quello che già sapevamo bene: in Italia (e magari anche altrove) “cinema horror” si pronuncia “Mario Bava”.

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