giovedì 28 febbraio 2013

Non si sevizia un paperino (L.Fulci,1972)


A Lucio Fulci il cinema italiano deve molto. Figlio di quella gloriosa scuola di cinema che è il Centro Sperimentale di Roma, fece la sua gavetta tra documentari e collaborazioni con importanti cineasti. Molto apprezzate erano le sue sceneggiature, firma diversi film con Totò (conosciuto grazie a Steno) e il soggetto di Un americano a Roma. I primi anni '60 lo vedono dietro la macchina da presa a dirigere "musicarelli" e commedie leggere…ma il Fulci che amiamo è quello dei bellissimi thriller e dei suoi splatterosi horror. Non si sevizia un paperino è un giallo alla Fulci, con quelle tinte così forti, quella arrogante voglia di osare, marcando ogni passaggio, ogni personaggio. Non ha nessuna paura di mostrare il corpo della Bouchet senza veli e filtri (cosa che valse all'attrice e al regista un processo), nessuna paura di esagerare, se c'è da descrivere la malvagità la si mostra e non la si lascia immaginare, anche se vittime del cattivo di turno, come in questo caso,  sono bambini (altro scandalo per l'epoca). Di notevole effetto l'idea del regista di mettere a confronto la condizione di un vivere quasi medievale di quel paesino pugliese con la modernità che incalzava inarrestabile. La primissima inquadratura ne è già una prova, mostra un enorme cavalcavia, emblema di progresso, mentre la "maciara" Bolkan sotterra delle statuette di cera…chiaramente una fattura di morte per qualcuno. La stessa attrice è protagonista di un'altra di queste geniali trovate, verrà linciata, come l'adultera nelle sacre scritture, con in sottofondo un indiavolato rock d'oltreoceano e a seguire una canzone di Ornella Vanoni alla radio. Scena, questa, dove si vedrà tutta la bravura di un artigiano come Fulci, dove il contrasto prima descritto renderà assolutamente drammatiche le riprese, il sangue e la buona interpretazione della Bolkan faranno il resto, indubbiamente la scena migliore del film. Un thriller moderno, una raffinata sceneggiatura e fuori dai canoni più ovvi. Una poverissima provincia italiana e nessuna casa stregata, un assassino che non aspetta la notte per colpire e l'ignoranza che diventa arma e colpa. Ci scopriamo ad aver paura di quella ottusa normalità, di un'omertà appiccicosa e di una giustizia fatta di superstizione e paganesimo. Magari una colpa del film è una certa debolezza nel celare fin in fondo l'identità dell'assassino, non occorre essere dei novelli Sherlok Holmes per "catturare" fin da subito il cattivone, ma tanto è ben composto il film che quasi lasciamo volentieri la trama in secondo piano. Buona prova di tutti gli attori e interessante la presenza in embrione di alcune scene che Fulci userà ancora nei suoi film (come la scenografica caduta di uno dei protagonisti dal dirupo, ripresa poi nel suo Sette note in nero). La trama: In un paesino dell'Italia meridionale un serial Killer fa strage di bambini, la gente si scaglia contro una povera e disadattata fattucchiera accusata di essere amante del demonio e colpevole. Una giornalista e una disinibita ragazza milanese, da poco residente in quel paese, scopriranno la vera identità del mostro.