Il film prediletto, quello che, per quanto amate, non vorreste addirittura condividere con nessuno, è cosa personale e diversa per ogni cinefilo, è unica quanto le sue impronte digitali, quanto l’iride. Lo può diventare per una trama che indiscutibilmente parla di noi e della nostra storia, molto più spesso invece è solo questione di atmosfera, di quanto a fondo le “pennellate” del regista sono riuscite ad arrivare..colorando quello che in noi non sappiamo neanche nominare. Per moltissimo tempo il mio “preferito” è stato Don’t look now di Nicolas Roeg, un qualcosa che andava oltre la passione per i classici dell’horror, un film che dovrebbe primeggiare nelle classifiche di ogni cosa riguardi il cinema…per l’eleganza del girato, l’uso della camera, l’interpretazione e, non da ultima, la scenografia. Drammatico è l’incipit, sequenze montate con una maestria sorprendente e cambi temporali spiazzanti almeno quanto coinvolgenti. Troviamo Laura (Julie Christie) e John (Donald Sutherland) a Venezia, dove lui è impegnato nel restauro di una chiesa. Hanno lasciato l’Inghilterra dopo la tragica morte della loro figlia minore, annegata nello stagno vicino la loro casa. Nella città lagunare incontrano due sorelle scozzesi (figure indimenticabili e degne di fama internazionale) che, grazie ai poteri medianici di una di loro, affermano di vedere il fantasma della loro piccola e di saperla felice. Questo già basterebbe alla stesura di una intera sceneggiatura, e invece la storia si intreccia con quella di un serial killer che si nasconde tra le calli della bella Venezia. Una Venezia mai così ben “utilizzata” come quinta naturale per un film, mai i suoi odori, le sue muffe e le incrostazioni dei sue antichi palazzi sono stati così ben rappresentati, è la perfetta città dove il mistero, il sogno e l’incubo riescono ad avere anche un loro effluvio, sinistro, decadente e angosciante. Venezia è teatro, strade strette che soffocano di aria umida, e palazzi e ponti come attori protagonisti di un gran film. La Christie non è più la Lara di Zivago, la sua sensualità e bellezza si scontrano con quella città e la sua interpretazione è credibile e perfettamente calata nel personaggio, tanto da dar vita con Sutherland ad una delle più discusse e famose scene di sesso in quei turbolenti anni ’70, quasi a voler rimarcare ancora una volta l’essenza stessa del film, quella lotta tra la vita e la morte, quella ricerca di un ponte e di un legame verso qualcosa che avvertiamo senza vedere, come la medium che “accompagna” Laura nel suo cammino. La donna ha dei presagi, insiste nel convincere John a lasciare Venezia, incombe un tremendo pericolo su di lui, la sua stessa vita è in gioco…e strani accadimenti, apparentemente fortuiti sembrano dare ragione alle medium. Il serial killer continua a mietere vittime e noi cominciamo a sospettare di ogni nuovo personaggio che Roeg decide di farci conoscere. Un vescovo, un direttore d’albergo…tutti sembrano poter nascondere terribili segreti, e John quando incontra sul Canal Grande sua moglie Laura, che sarebbe dovuta partire per l’Inghilterra, insieme alle due ambigue amiche veneziane e in evidente stato di alterazione, teme per la sua vita e decide di denunciare tutto allo polizia. A questo punto la trama si complica, la realtà non è più tale e tutto si sta preparando per un magnifico coup de theatre. Dopo un rallentamento del ritmo e difficili e criptiche sequenze ora tutto vorticosamente si sta per svelare. Il finale, vera gemma del film, sono dieci minuti di delirio e colpi di scena. Divertitevi a trovare quando e in quanti posti e cose il regista ha nascosto il rosso del titolo, pensatelo non come un vezzo, ma come la punteggiatura di un bel racconto. Tra le calli e i sottoporteghi di Venezia si è messa in scena la vita e la morte...