Primi anni '30...In pieno ventennio fascista, il Conte Dracula decide di lasciare la sua Romania e cercare moglie (o meglio il suo sangue di vergine) nelle campagne di una, lui crede, cattolicissima Italia. In particolare è interessato alle figlie di una nobile ma decaduta famiglia. Queste riescono ad evitare il loro destino di vampire grazie alle "attenzioni particolari" del factotum (Dallessandro) del Marchese de Fiore e il destino del Conte non sarà dei migliori.L'assurdo piacere che provoca la visione di certe "stranezze" cinematografiche, quell'appagante percezione di assistere a quanto di più lontano da un film canonico e un pò uguale a tutti è una ragione più che valida per vedere e scrivere di opere come il Dracula di Morrissey. Quei fotogrammi iniziali, che mostrano il caro Conte (Udo kier) truccarsi le labbra e tingersi vanitosamente i capelli, sono decadenti e magnifici come pochi. Cosi come giudicare con le solite parole e aspettative un film prodotto da Andy Warhol, girato da Paul Morrissey, con interpreti che vanno da Joe Dallessandro a Vittorio De Sica, dalla Vukotic a Silvia Dionisio, con un cameo di Polanski e la collaborazione alla regia di Margheriti è inutile quanto stupido. Potremmo criticare l'inespressività di Dallessandro (a cui era richiesto al massimo di mostrare il suo "famigerato" corpo) o bollare come troppo strampalate scelte come la macchina del conte che vaga per le campagne italiane con una bara sul tetto (ma non per chi ricorda Orlok e la sua bara sotto il braccio per le vie di Wisborg)...invece ci ritroviamo ad amare quello strano Conte rumeno, gracile, apatico e atipico. Ad apprezzare l'interpretazione di Kier, annoiato dal suo stato e alieno alle debolezze umane e allo stesso tempo cosi bisognoso del loro sangue. Il sesso è un orpello quasi inutile, è mostrato senza troppa ricercatezza e quel pò di politico che a tutti i costi si è voluto inserire nel film (il contadino Mario cita e auspica una rivoluzione d'Ottobre anche in Italia) è forzato e superficiale. Ma è esattamente questa splendida e voluta "frivolezza" la forza della pellicola. Anche in quelle scene dove il tanto sangue, a volte al limite dello splatter, ci ricorda che il film in fondo si richiama ad un romanzo gotic-horror, non si può non pensare più ad una performance artistica che ad un vero film. Belle le musiche e belle le attrici, audaci e credibili nel rappresentare la superficialità dei loro personaggi. Le malinconiche note di Gizzi contribuiscono, come tutto, a fare di questo sperimentale Dracula un film che difficilmente invecchierà e che nessuno potrà mai rifare...un prodotto perfetto di quel genio di Morrisey e un oggetto degno della sua Factory. Senza dubbio il rischio per un film come questo di sfociare nella commedia, a cominciare dal titolo assurdo, è alto e non sempre si è riusciti ad evitarlo (o magari non si è voluto)...ma Warhol non ha speso male i suoi soldi, ha prodotto, se non propriamente un'opera d'arte, un apprezzabile e giocoso film fuori dai "generi".
sabato 22 novembre 2014
domenica 2 novembre 2014
Il sangue delle vergini - Sangre de virgenes (E.Vieyra,1967)
Ofelia Marano Gutierrez è innamorata di un giovane nullatenente, ma viene costretta dai genitori aristocratici a sposare il cugino Edoardo Aguilar Morano. Lo sconosciuto spasimante vampirizza Ofelia che viene sepolta insieme al suo legittimo sposo. Molti anni dopo, a causa di un guasto all’auto (fatale e poco originale), alcuni giovani si fermano nella villa di Ofelia, disabitata da tempo. Raul, uno di loro, incontra nella notte il fantasma di Ofelia e fa l'amore con lei. Il mattino dopo le sue due amiche sono pallide ed esangui. Il commissario di polizia Martinez (interpretato da Emilio Vieyra, regista del film), i dottori e gli amici delle ragazze rifiutano di credere ai vampiri, ma Raul è di diverso avviso. Le vicende gli daranno ragione.
Un Vampire movie argentino di fine anni 60…delirante e morboso nelle intenzioni, banale e bruttino nei risultati. L’interessante in film come questo è da cercare, non tanto nella tecnica raffinata e men che meno nella recitazione degli interpreti (spesso alla loro prima e fortunatamente unica esperienza), ma in quel suo essere così diverso nei sapori e nelle atmosfere a cui siamo abituati, atipicità che lo allontana dai straconosciuti monti dei Carpazi e intinge il vampirismo classico nella salsa chimichurri, restituendoci un prodotto perlomeno originale. Detto questo, il film non si eleva mai da una mediocrità congenita e le “furbate” del regista non aiutano a salvarlo. Le generose forme delle attrici vengono usate a profusione e ci si spinge a scene softcore ruffiane e poco utili alla storia. Quel che possiamo salvare dopo la visione del film, quel poco, sono la bella animazione dei titoli iniziali e l’aver (forse senza volerlo) anticipato di un buon decennio i temi classici dei numerosissimi teen-horror americani che faranno ben più successo al botteghino di questo sgangherato film argentino. Di terrore, nella sue accezione classica, non ne abbiamo praticamente traccia, come non c’è traccia delle vergini del titolo (!) Qualche primo piano ai canini appuntiti e quel po’ di sangue che si intravede certo non basta a darci la giusta dose di tensione che cerchiamo in un horror e la scialba ambientazione in uno chalet andino, inadatto e ridicolo, ci gela definitivamente nel poter dare un minimo di attenzione alla pellicola. Quindi, a ben vedere, è solo il coraggio di un regista come Vieyra nel volersi provare in un genere come l’horror, pieno di pellicole modeste e di pochissime vette riconosciute, con i pochi pezzi a disposizione a dare un senso alla visione del film. Il suo “voler far cinema” consapevolmente di bassa qualità ma con quel sapore tipicamente trash che avrà la sua fortuna nei cineforum di appassionati e che, in un certo qual modo, aiuterà ad allenare i gusti di tanti. La visione è quindi da consigliare solo a consapevoli entusiasti e curiosi…chi ama un genere non può limitare ai soli capolavori il suo tempo libero, ma nel ricercare e nello scovare stranezze sta il vero divertimento. Per poi magari incappare e sorprendersi di registi come Vieyra o in “personaggi” (prima che regista) come il brasiliano José Mojica Marins (di cui magari parleremo) che fanno quel tipo di cinema adatto alle ore notturne delle tv e all’asincrono Ghezzi.
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