Un poliziotto sta indagando sulla misteriosa scomparsa di un vecchio attore di film horror dalla casa che aveva preso in affitto. Interrogato, l’agente immobiliare (che fatalmente si chiama Stoker!) racconta gli strani avvenimenti accorsi nel tempo agli abitanti di quella vecchia casa: uno scrittore ossessionato da uno dei suoi personaggi divenuto reale; due amici di vecchia data che trovano una loro ex-fiamma raffigurata in un museo delle cere dopo essere stata uccisa; una baby-sitter che scopre nella bambina a lei affidata i poteri malefici di una strega; e infine l’attore scomparso…trasformato in vampiro…
La casa che grondava sangue è, come si intuisce dalla trama, un film ad episodi. Quattro racconti ambientati in una tetra dimora nelle campagne inglesi. Le abitazioni, che siano castelli o monolocali in un vicolo secondario, rappresentano uno dei “fondamentali” nella filmografia horror classica e non solo. Sono l’esatta rappresentazione della “tana del mostro” o, ancora meglio, di quella “ragnatela” appiccicosa verso cui le vittime vengono inesorabilmente attirate e poi colpite. Poco sarebbe Dracula senza il suo castello, nulla sarebbero i Demoni di Raimi senza la loro “Casa” e Nicholson parrebbe un semplicissimo esagitato, quasi grottesco, senza i lunghi corridoi dell’Overlook. Furbescamente si usano le situazioni della vita quotidiana, e quindi porte da aprire e cantine polverose, per insinuare in chi guarda quel terrore “riconoscibile” e che potrebbe accadere di provare a chiunque tornando, la sera stessa, dopo la visione…a casa. Un racconto completamente “fantastico” otterrebbe solo parzialmente tale risultato e questo, scrittori e registi di genere, lo hanno sempre saputo. Nel film di Duffell (il regista) la casa è un contenitore per le brevi storie che ci racconta. Quelle mura e quel giardino rimangono immutati e fermi mentre uomini, donne e delitti ne risultano essere la linfa, o meglio il sangue, che scorre all’interno di essa per renderla viva. Gli episodi sono un crescendo di buone idee e interpretazioni, culmineranno nel quarto e migliore (per un cinefilo e appassionato di horror è una chicca ricolma di citazioni e ironia) dove una magnifica Ingrid Pitt e il suo famigerato neo daranno un senso al tempo investito per la visione del film. Certamente la presenza di Lee e Cushing nobilita l’intero cast, ma non verranno certo ricordati per questo film…mentre ammirare la Pitt nella sua prima esperienza con i canini appuntiti, prima del bellissimo Vampiri Amanti, è una gioia per gli occhi e lo spirito.
Nel complesso il film della Amicus è onesto e ben diretto. Iperclassico e sicuramente poco originale per argomenti e ambientazioni, ma godibile e un degno rappresentante di una idea tutta anglosassone dell’horror, sempre compassato ed elegante, che tanto si discosta da quella mediterranea e sanguigna tipica di spagnoli e italiani. Non mancate di notare quanto effetto faccia Jon Pertwee doppiato dal nostro Amendola…quasi un “Rambo contro i vampiri”.