Dora, insieme al figlio Marco e al nuovo compagno Bruno, torna nella casa dove abitava con Carlo, il marito, morto suicida. La tragica morte del coniuge ha sconvolto la donna, gettandola nella depressione, ma adesso, dopo un periodo di analisi e con un nuovo amore, sembra aver trovato la forza di riaffrontare quel luogo carico di ricordi spiacevoli. Bruno, pilota d’aerei, deve però star via per lavoro. Pessima scelta, perché il piccolo Marco inizia a manifestare la pericolosa “personalità” del padre…
Ultimo film di sua maestà Mario Bava. Per alcuni versi lontanissimo dai suoi classici ma così tanto farcito di “cose” baviane da farsi assolutamente amare dai cultori del regista sanremese quasi quanto i suoi titoli migliori. Quello che manca al film sono le psichedelie, le colorazioni fiabesche che tanto resero Bava peculiare. Qui il girato è crudo e realistico, è, come scopriranno critici e pubblico solo nel 2006, vicino a quel capolavoro inedito di ansia e crudeltà che sarà “Cani arrabbiati”. Potrebbe, per alcuni versi, essere considerato il più argentiano dei baviani e, senza far troppo storcere il naso ai puristi, non possiamo non notare quanto alcuni passaggi di sceneggiatura ricordino Profondo rosso, vedi la scelta della Nicolodi, che è più di un velato richiamo, e le musiche che “suonano” indiscutibilmente alla Goblin. Il soggetto del film è del delfino Lamberto e la mano di papà Mario la si avverte soltanto (e tanto) sul set. Si percepisce nei piccoli trucchi di regia e nelle continue invenzioni, ma possiamo immaginare che non volle troppo intromettersi nella stesura del soggetto che risultò quindi “contaminata” (magari per scelte da botteghino e dello stesso Lamberto) soprattutto dai recenti successi del Dario nazionale. La narrazione diventa presto serrata e straniante. Un clima ambiguo imprigiona i personaggi e piccole e strane sequenze ci lasciano avvertire che tanto di più dovrà succedere in quella casa apparentemente piena di nuova felicità. Il piccolo Marco sembra avvertire una presenza nella casa, un fantasma che lo usa come tramite per arrivare alla madre. I nervi della donna verranno messi a dura prova dagli accadimenti e questo, unito al ruolo del figlio, ci ricorda indiscutibilmente la Wendy di Kubrick, anzi, a ben vedere, molti sono i punti di contatto tra i due film: la nuova residenza, il piccolo e riccioluto bambino capace di “vedere” quel che altri non vedono e, come dicevamo, la stessa Dora. In una cosa il film di Kubrick non può competere con Bava…la scelta del piccolo protagonista. Marco (David Colin) è spaventosamente perfetto, espressioni da adulto consumato e morboso in un corpo da bimbo, ancora una volta l’ambigua innocenza del bambino è usata come strumento di terrore e con notevolissimi risultati. Quindi non sono più castelli e cripte le location dove deciderà di girare il nostro amato regista, non più le candele e le pesanti tende ornano le stanze dei protagonisti, ora la paura è umana e tangibile. Quest’opera è l’esempio perfetto di quanto ci ricordava lo stesso Bava nelle sue rare interviste: egli affermava di essere una persona estremamente incline alla paura, ma di non temere mostri e fantasmi, bensì di essere letteralmente terrorizzato dagli uomini e dalla loro crudeltà. Shock è il manifesto di questa sua paura, nessun fantasma sarà mai tanto orribile come quello partorito da una mente disturbata e nessun mondo sarà mai così schioccante come gli angoli imperscrutabili del cervello umano. Ovviamente Shock è ben lontano dall’essere il miglior film di Bava, manca di troppe cose che lo resero grande. La sua maestria si esplicitava decisamente meglio con manieri diroccati e gotici racconti di altri tempi e una modernità, piena di un orrore troppo reale, era ben poco conformabile al suo estro, al suo essere inventore di giochi e atmosfere. Ormai il bel gotic-horror all’italiana aveva lasciato da tempo gli schermi e film come questi segnarono la transizione verso un “orrore” fatto di litri di sangue e mutilazioni gratuite, come dire…non riusciamo più a stupirvi con la bravura, lo faremo con la banalità del disgusto e del ribrezzo. Finale lunghissimo e articolato, ma tranquilli…la fine arriverà, per tutti.