Surreale, fantastico…incubi e realtà, un amalgama perfetta per un film pari solo a La maschera del demonio. Bava in gran spolvero, vero orgoglio nazionale. Fotogrammi assurti a livello di icone e marchi indelebili dell’importanza che il cineasta sanremese ha avuto nel cinema di genere. Immagini in movimento che ispireranno o, ancora più spesso, verranno dichiaratamente copiate da nomi come: Fellini, Argento Kubrick e Barton. Melissa, la bambina-spettro del film, con la sua diabolica risata sommessa, è la figura più inquietante possibile, è capace di far riaffiorare paure che non confessiamo neanche a noi stessi…è quanto e più dei demoni-bambini di famose produzioni nipponiche ed è perfetta come la sua palla, che tiene stretta a sé come tenesse in mano il nostro smarrimento. Melissa che è interpretata dal figlio (maschio) di un conoscente di Bava e che, anche per questo, ha sguardo e sorriso ambigui come una Gioconda e gli occhi fatali della Medusa. Il Dottor Eswai giunge in un paese desolato nella Germania di inizio ’900, dove numerosi morti oscure hanno bisogno di una spiegazione..e quella che in fine troverà non sarà affatto piacevole. Come un moderno Hutter si aggira tra i ruderi e gli atterriti abitanti del posto, una locanda e una sinistra villa (alla pari del castello del Conte) ci portano alle medesime atmosfere che Murnau darà al suo capolavoro…capiamo che l’ennesimo scontro tra il male e il bene sta per avere luogo. Girato in quindici giorni a Faleria (Viterbo), gotico come un horror della Hummer e sperimentale per tecnica e inquadrature, sembra nato per essere argomento per tesi di esame finale di scuola di cinema, per fotografia (virata in giallo come si era soliti fare per gli horror di inizio secolo), regia e originalità. Una recitazione di buon livello (sempre considerando l’inesistente budget a disposizione) e una storia che, nella sua semplicità, riesce a convincere, aggiungono punti al risultato finale. Altra figura che aiuterà il Dottor Eswai a cercare di darsi risposte a quel che accade è il commissario Kruger (se volete vedere anche nell’assonanza con il nome del più noto Freddy l’ennesimo “omaggio a Bava…liberi di farlo) interpretato dal bravo Piero Lulli, che insieme ad una giovanissima Erika Blanc a Fabienne Dali (la maga Ruth) e a Giovanna Galletti (la baronessa Graps), con la sua solida recitazione, compongono il cast dei pochi nomi noti al grande pubblico che nel 1966 vide Operazione paura nelle sale. Come in tanti film, thriller o horror che siano, dobbiamo riscontrare la presenza di un oggetto particolare, una scala a chiocciola (fotografata e “colorata” egregiamente da Bava), che non possiamo che mettere tra le cose che, evidentemente, più aiutano a rendere palpabile quella sensazione di vertigine e stordimento che i registi di film di genere cercano per le loro opere, da quella nel film di Siodmak alla famigerata scala di “Vertigo”…curiosità da cinefilo. Come una curiosità è trovare qui, come in tanti altri film di Bava, quel particolare tono di verde nelle luci, che il regista usava per dare suggestione alla scena…un improbabile colore che rende surreale e a tratti psichedelica la sua “fotografia”, che rende il ferro di un’armatura ancora più gelido o una semplice stanza un antro spettrale. Un film imprescindibile per appassionati del genere e non, una prova d’artista che ha nella bellezza dei suoi fotogrammi la sua forza e nella firma di un grande regista quel che la rende un “capolavoro”.