domenica 7 luglio 2013

La strega in amore (D.Damiani,1966)


Anche l'insospettabile Damiano Damiani, quello della Piovra con Placido in tv e di tantissimi film mafio-polizieschi e (ahinoi!) di Alex l'ariete.., anche lui ha ceduto al nostro genere preferito. La strega in amore (titolo peggiore era davvero impossibile) è una particolarissima variazione sul tema horror-gotico italiano del tempo. Castelli e nobili assetati di sangue lasciano il campo ad una Roma contemporanea, quasi un documentario le iniziali riprese dell'EUR (quartiere di Roma) ancora poco congestionato da traffico e gente, ai palazzi patrizi e decaduti. Uno di questi è il set del nostro film…corridoi e grandi sale, persa la loro funzione di rappresentanza, diventano antri di streghe e gelidi come catacombe. Damiani non altera i canoni classici dell'horror, misteri e paure sono le stesse e le atmosfere funeree sono degne di Corman e dei suoi film tratti da Poe. Le figure femminili sono, come spesso accadeva, la pietra d'angolo dell'intero racconto. La sensualità della Schiaffino è "educata" ma non nascosta, e sin dalle prime battute, quando Consuelo legge le "colorite" memorie di suo marito, avvertiamo l'eros come filo conduttore di quel che vedremo in seguito. Tratto da "Aura" un breve romanzo di Carlos Fuentes, il film ne immortala le atmosfere e non perde molto di quel velo ammaliante che Fuentes ha dato al suo scritto. Nel libro (che consiglio altrettanto) come nel film il gioco di Aura e di Consuelo per "braccare" il giovane Sergio ha qualcosa di esotico e lontano…un rito antico che solo una donna e il suo essere strega, come nel film, può domare ed usare per ottenere l'oggetto dei suoi desideri. L'entrata in scena di Aura (Schiaffino) disorienta Sergio, che abbassa le difese e non si cura più della stranezza di quel posto e delle due "castellane". Un perfetto BW fotografa dialoghi e attori, tenendo l'attenzione e la curiosità di chi sta guardando il film ben sveglia ed acuta. Le musiche di Bacalov sono come il cigolio perfetto della porta di un antico maniero…sono il suono preciso che deve avere uno sguardo o lo stupore di un uomo. Si intuisce esattamente la potenzialità del racconto di Fuentes, di quanto il soggetto fosse adatto ad un film…quasi difficile da comprimere in un lungometraggio. I suoi 110min non permettono a Damiani di approfondire a dovere le intense figure femminili e ne rende ancora più marginali quelle maschili. Tutto si svolge tra perenni dialoghi e ammiccanti atmosfere, dove come una volpe da cacciare si aggira il protagonista, intrigato e curioso di svelare segreti e far entrare la luce in quel luogo tetro e forse, lui crede, anche nemico. Tutto sembra costruito dalle due donne e da quella casa per quasi punire la "leggerezza" di Sergio…il suo essere poco propenso ad approfondire i rapporti, superficiale e impudente dovrà vedersela con l'eterno e l'inspiegabile. Quando l'erotica danza di Aura, su un ritmo primordiale e tribale, preludio all'amore tra i due viene interrotta dall'arrivo di Gian Maria Volontè, che interpreta Fabrizio l'ex bibliotecario, ci rendiamo conto di quanto forte ci prendano le belle e gotiche immagini in movimento di questo film…che di horror ha il sapore ed è aspro al palato, che intimidisce chi guarda e lo stordisce con quel invadente e perenne odore di muffa e polvere. Fabrizio è ormai lo scarto di un esperimento, il rifiuto ingombrante da tenere nascosto…una razza inferiore per le elette donne che vivono in quella caverna/palazzo. Volontè va oltre la parte, non riesce ad essere comprimario di nessuno, tantomeno una figura secondaria, occupa eccessivamente la scena con uno smaccato e non celato desiderio di primeggiare…troppa personalità, bravissimo ma accentratore e inopportuno. La mano della censura è arrivata anche a "mutandare" il poster del film, dove una languida Aura lasciava intravedere la sua nudità sotto il vestito (così come effettivamente avviene nel film), ne esistono quindi due diverse versioni…censura che non ha potuto però fermare l'indubbio fascino che la Schiaffino dona al suo personaggio, che sprigiona malizia con consapevolezza e naturalezza. Un film e un finale che amerete aver visto, di indubbia bellezza e buona fattura. Chi ha corde capaci di risuonare con questo genere di film ne godrà  certamente, in barba ad una critica superficiale che ne ha snobbato l'esistenza, per andare a rendere onori a produzioni d'oltre oceano spesso di più bassa qualità. Un horror di confine, dove a far paura e sempre una pesante e  intrigante ambiguità… La trama: Uno scrittore squattrinato accetta un lavoro propostogli da una strana vedova che vive con Aura, che dice di essere sua figlia, la donna è una strega….